1990–1999
La fede e le buone opere
Aprile 1992


La fede e le buone opere

«La vita offre a ognuno di noi un vasto panorama di occasioni di cui possiamo approfittare»

Mi sento molto umile al pensiero che occupo questo podio, dal quale le verità della Restaurazione sono state predicate dai profeti e dagli apostoli sia del passato che del presente. Sono felice di questa chiamata a servire, e ho imparato ad ammirare e ad amare i Fratelli con i quali collaboro.

Ho un profondo debito verso mia madre, donna meravigliosa e capace, e verso mia moglie, una donna veramente straordinaria, che è la mia amica e la madre dei nostri sette figli. Voglio fare eco a una dichiarazione dell’anziano Scott: Margaret eccelle su di me in ogni qualità degna di essere emulata. Le voglio molto bene.

I figli possono darci la possibilità di osservare la vita per percepirne gli aspetti più belli e spesso anche quelli più allegri. Abbiamo due gemelli di dieci anni assolutamente identici, sì che molte volte è praticamente impossibile distinguerli l’uno dall’altro.

Recentemente abbiamo traslocato e ci siamo trovati in un nuovo ambiente. Alcuni giorni dopo, parlando con Aaron, uno dei gemelli, gli ho chiesto come si era fatto il grosso bernoccolo che aveva sulla fronte. Egli mi ha raccontato così la storia: «Sai, papà, Lincoln [il suo fratello maggiore] mi inseguiva lungo il corridoio; ho girato l’angolo e ho visto il mio gemello Adam. Allora, sapendo che sono più veloce di lui, ho continuato a correre». Risultò che aveva urtato contro il grande specchio appeso alla parete.

La vita offre a ognuno di noi un vasto panorama di occasioni di cui possiamo approfittare.

Il Signore disse a Moroni: «E se gli uomini vengono a me, mostrerò loro la loro debolezza … poiché, se si umiliamo a me ed hanno fede in me, allora farò sì che le cose deboli divengano forti per loro» (Ether 12:27).

Quando guardiamo nello specchio la somma dei bernoccoli e delle escoriazioni che evidenziano le nostre debolezze, ricordiamo che vi sono due grandi forze stabilizzanti alle quali possiamo ancorare la nostra anima.

La prima è illustrata da un’esperienza che ho fatto alcuni mesi fa. In compagnia di un presidente di palo, approfittai della possibilità di fare visita a una giovane donna nella sua casa vicino a Atlanta, in Georgia. Ella aveva ventinove anni, suo marito era rimasto ucciso in un incidente stradale; viveva in un modesto appartamento con due figli in tenera età. Pensavo che l’avremmo trovata turbata e scoraggiata per quel «bernoccolo» che la sorte le aveva inflitto. Al contrario era di buon animo, calma e molto composta. Ci ringraziò per la visita, poi disse, se ben ricordo: «Fratelli, voglio che sappiate che io credo nel piano di redenzione. Sono grata al mio Salvatore che mi ha promesso una gloriosa risurrezione con mio marito. Sono grata per il Suo sacrificio di redenzione». Poi, mettendo le braccia attorno ai due bambini, disse: «La nostra fede in Gesù Cristo ci farà superare questo difficile momento».

Eravamo entrati in quella casa pensando di dover confortare e sostenere, ne uscimmo pieni di umiltà, incoraggiati e beneficiati dalla sua meravigliosa espressione di fede.

Noi camminiamo davvero per mezzo della fede – fede nel piano di redenzione, fede nel ruolo di Gesù Cristo come Salvatore e Redentore, fede che Egli è il Figlio di Dio, che ha il potere di salvare, di perdonare, di innalzarci. Per la nostra fede ci pentiamo, osserviamo i Suoi comandamenti, cerchiamo la Sua chiesa restaurata e il sacerdozio autorizzato. Ascoltiamo e seguiamo le parole dei Suoi profeti e apostoli, pronunciate da questo e da altri pulpiti.

Quando esercitiamo la nostra fede in Lui, allora Cristo ci aiuta a vincere le nostre debolezze e i «bernoccoli ed escoriazioni» che ne conseguono.

Per illustrare la seconda grande forza stabilizzante, voglio raccontarvi un altro episodio. Alcuni anni fa, quando ero un giovane vescovo, nel nostro rione tenemmo una festa attorno alla piscina che stava nelle vicinanze dell’isolato in cui abitava la maggior parte dei membri del rione. Fui presentato a un nuovo membro del rione – una giovane donna di poco più di vent’anni di nome Carol, che da bambina era stata colpita da paralisi cerebrale. Camminava con grande difficoltà, le sue mani erano contorte dalla malattia. Anche il suo buono e caro volto era stato colpito, come pure la sua capacità di parlare. Ma, come avrei imparato, conoscere Carol significava amarla.

Dovetti aspettare soltanto pochi minuti per cominciare a imparare la grande lezione che ella mi avrebbe insegnato. Mentre parlavamo, osservammo un giovane alto, bruno, bello, atletico che si tuffò dal trampolino e si fece un po’ male, probabilmente perché aveva urtato il fondo della piscina. Uscì dall’acqua tenendosi una mano sul collo e andò a sedersi sotto un albero. Osservai Carol che con grandi sforzi riempiva un piatto di cibo e, con grande difficoltà, lo portava a quel giovane – un innocente atto di servizio, di «buone opere». Le buone opere di Carol diventarono una leggenda. Ella curava gli ammalati, portava cibo agli affamati, portava in macchina le persone da un posto all’altro (un’esperienza che vi lasciava pallido e scosso, ma ancora intero), consolava, edificava, aiutava.

Un giorno passeggiavo con lei lungo il marciapiede davanti all’isolato in cui viveva. Dalle finestre, dai balconi, dai portici si levava continuamente un saluto: «Salve, Carol!» «Come stai, Carol?» «Vieni a trovarci, Carol!». E qualche volta qualcuno diceva anche: «Oh, salve, vescovo». Era chiaro che Carol era amata e felicemente accettata per le sue meravigliose buone opere.

Il ricordo più vivido che ho di Carol è quello di un episodio accaduto nella primavera di quell’anno. Il rione aveva acconsentito a partecipare alla gara di corsa di cinque chilometri patrocinata dal palo. Anche Carol voleva parteciparvi con gli altri membri del rione, ma non vedevamo come ciò fosse possibile. Per lei era già molto difficile camminare. Tuttavia era decisa. Si sforzava di allenarsi ogni giorno per accrescere la sua resistenza.

La corsa finiva nello stadio. Due o trecento di noi già si erano sparsi tra le bancarelle innalzate accanto al traguardo, intenti a bere succhi di frutta e a riprendere fiato, quando improvvisamente ci ricordammo di Carol, che era rimasta di molto indietro a noi. Corremmo subito all’ingresso dello stadio e la vedemmo arrivare, lottando per respirare, appena in grado di reggersi sulle gambe, ma decisa a finire. Quando entrò nella pista e si avviò verso il traguardo, accadde una cosa meravigliosa. Improvvisamente lungo entrambi i lati della pista si schierarono centinaia di amici che la incoraggiavano. Altri correvano accanto a lei per appoggiarla e sostenerla. Carol, «quella delle grandi buone opere», aveva finito la corsa.

Un giorno ognuno di noi attraverserà il traguardo. Lo faremo tra gli applausi e l’incoraggiamento di coloro che abbiamo amato e servito? Speriamo che ciò avverrà con l’approvazione del nostro Salvatore, il quale, a motivo della nostra fede e delle nostre buone opere, dirà: «Va bene, buono e fedel servitore».

Aggiungo la mia testimonianza alle molte che sono state portate da questo pulpito. So che Dio vive. Gesù Cristo è Suo Figlio, nostro Salvatore e nostro Redentore. Egli ha il potere di innalzarci se veniamo a Lui con fede, con le buone opere e con tutto il nostro cuore. Di questo io rendo testimonianza nel sacro nome di Gesù Cristo. Amen. 9