1990–1999
Alla ricerca del bene
Aprile 1992


Alla ricerca del bene

«Per i membri della Chiesa cercare il bene è più che un nobile ideale. È un obbligo che abbiamo accettato quando siamo entrati nelle acque del battesimo»

Miei amati fratelli e sorelle, è per me un privilegio presentarmi qui in questa occasione e avere la possiblità di portare la mia testimonianza della verità del Vangelo e del mio profondo affetto per i dirigenti della Chiesa. Prego che lo Spirito del Signore mi sostenga mentre vi parlo.

Sin da bambino, da quando avevo forse cinque anni, sono venuto alle conferenze e ricordo che sedevo accanto a mio padre, nella terza fila della sezione centrale. Mi piacevano tutte le conferenze alle quali mi portava. Ma non credo di aver mai partecipato a una conferenza più bella e più ispirativa di questa. Potrei aggiungere che, probabilmente, è la più lunga alla quale abbia mai partecipato, dato che sono uno degli ultimi oratori.

Un documento fondamentale della restaurazione del Vangelo è una lettera che il profeta Joseph Smith scrisse in risposta a una richiesta di John Wentworth, direttore di un giornale di Chicago. Nella cosiddetta lettera Wentworth il Profeta fece una «breve descrizione del sorgere, del progresso, delle persecuzioni e della fede dei Santi degli Ultimi Giorni» (History of the Church, 4:535). A quanto ci risulta, questa è la prima storia pubblicata dei principali avvenimenti occorsi durante il periodo di trentasei anni dopo la nascita del Profeta. L’ultima parte della lettera, gli Articoli di fede, è una concisa dichiarazione dei credo fondamentali della Chiesa. Il fatto che una sola persona ispirata dal cielo, invece di un’assemblea di studiosi, produsse questo straordinario documento è un’altra prova della divina chiamata di Joseph Smith (vedi History of the Church, 4:535).

L’ultima parte del tredicesimo Articolo dichiara: «Se vi sono cose virtuose, amabili, di buona reputazione o degne di lode, queste sono le cose a cui noi aspiriamo» (tredicesimo Articolo di fede).

La parola aspirare significa andare alla ricerca di, cercare di scoprire, cercare di acquisire. Richiede un modo attivo e deciso di affrontare la vita. Per esempio, Abrahamo aspirava alle benedizioni dei padri, essendo egli stesso un seguace della giustizia (vedi Abrahamo 1:2). Ciò è il contrario dell’attendere passivamente che ci accada qualcosa di buono, senza fare da parte nostra nessuno sforzo.

Possiamo riempire la nostra vita di bene, senza lasciare spazio per altre cose. Abbiamo tante cose buone tra cui scegliere, da non dover essere mai costretti a prender parte al male. L’anziano Richard L. Evans dichiarò: «Nel mondo esiste il male. Ma esiste anche il bene. Sta a noi conoscere e scegliere tra i due, crescere in autodisciplina, in competenza e bontà, continuare a progredire, un passo dopo l’altro, un giorno, un’ora, un momento, un compito alla volta» (Richard L. Evans, Thoughts for One Hundred Days, 5 volumi, Salt Lake City: Publishers Press, 1970, 4:199).

Se aspiriamo alle cose che sono virtuose e amabili, sicuramente le troveremo. D’altra parte, se cerchiamo il male, troveremo anche quello. Lucifero sa come tentare e trascinare molti figli del Padre celeste laggiù dove sta lui con i suoi seguaci. Egli si ribellò e fu scacciato; egli vuole renderci infelici al pari di lui (vedi 2 Nefi 2:18).

Il mio messaggio può essere l’opposto di quello del mondo, che rispecchia le falsità di Satana. Nefi lo descrisse con queste parole: «Molti diranno: Mangiate, bevete e datevi alla gioia, poiché domani morremo; e tutto andrà bene per noi …

Però temete Dio – Egli ci giustificherà se commettiamo qualche piccolo peccato; sì, mentite un po’, approfittate delle parole di qualcuno, scavate un fosso per il vostro prossimo; non vi è alcun male in ciò; e fate tutte queste cose perché domani morremo; e se accadrà che siamo colpevoli, Iddio ci castigherà un po’, ma alla fine noi saremo salvati nel regno di Dio» (2 Nefi 28:7-8).

Anche se viviamo nel mondo, non dobbiamo fare parte del mondo. Per i membri della Chiesa cercare il bene è qualcosa di più di un nobile ideale. È un obbligo che abbiamo accettato quando siamo entrati nelle acque del battesimo; lo rinnoviamo ogni volta che prendiamo il sacramento. Dobbiamo ricordare quest’ammonimento: «Io, il Signore, non posso considerare il peccato col minimo grado di indulgenza; cionondimeno colui che si pente e obbedisce ai comandamenti del Signore sarà perdonato» (DeA 1:31-32).

Possiamo cercare di fortificare la nostra famiglia e possiamo adoperarci per favorire la pace e la felicità nella nostra casa, facendone un sicuro rifugio dalle tribolazioni e dai guai che ci circondano. Per esempio, i genitori possono insegnare ai figli ad essere buoni, premurosi, rispettosi e ad aiutarsi reciprocamente, evitando litigi e contese. Qualche volta i componenti della famiglia si trattano l’un l’altro con minore cortesia e gentilezza di quanta ne usano con i conoscenti, e con gli estranei. Fra i componenti della famiglia ci sono delle differenze che possono causare attrito, ma essi devono riservare il più tenero affetto a quanti sono loro più vicini: il marito o la moglie, i genitori, i fratelli e le sorelle. A mio avviso, la vera grandezza di una persona si manifesta nel modo in cui ella tratta coloro nei confronti dei quali non è obbligata a dimostrare cortesia e gentilezza.

Possiamo cercare di essere dei buoni vicini. In genere coloro che sono buoni vicini avranno dei buoni vicini. Essere un buon vicino significa fare qualcosa di più che compiere un gesto premuroso di tanto in tanto, in un giorno di festa o in un momento di crisi. Significa sforzarsi continuamente di stabilire e mantenere viva una sincera amicizia. Nelle situazioni di emergenza dobbiamo reagire prontamente. Per esempio, il Natale scorso l’automobile del nostro vicino prese fuoco. Tutti coloro che videro le fiamme immediatamente si precipitarono in suo aiuto. Ci comportiamo altrettanto bene quando la necessità è meno urgente, ma forse più seria? Facciamo visita ai nostri vicini anche quando nessuno è ammalato o non c’è una crisi in atto?

Possiamo cercare di svolgere un servizio altruistico per l’amore che nutriamo per i nostri simili. Il Salvatore definì questo amore secondo soltanto all’amore di Dio, quando disse: «Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua.

Questo è il grande e il primo comandamento.

Il secondo, simile ad esso, è: Ama il tuo prossimo come te stesso.

Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti» (Matteo 22:37-40).

Riguardo a questi due comandamenti leggiamo quanto segue nella prima epistola di Giovanni: «Se uno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama il suo fratello che ha veduto, non può amar Dio che non ha veduto.

E questo è il comandamento che abbiamo da lui: che chi ama Dio ami anche il suo fratello» (1 Giovanni 4:20-21).

Servire gli altri deve diventare un aspetto naturale della vita di ogni seguace del Salvatore. Quando, a causa di questo amore, mettiamo al secondo posto i nostri interessi personali e ci dedichiamo agli altri senza darci pensiero di ciò che riceveremo in cambio, ci muoviamo nella direzione che ci porterà ad essere veri discepoli. «Il Signore ha comandato ai Suoi fedeli di provvedere ai poveri e ai bisognosi. Egli disse: ‹E rammentate in ogni cosa i poveri ed i bisognosi, i malati e gli afflitti, poiché colui che non fa tali cose non è mio discepolo› (DeA 52:40)» (Providing in the Lord’s Way, Salt Lake City: The Church of Jesus Christ of Latter-day Saints, 1990, pag. 3). In un palo a cui ho fatto recentemente visita il tasso di disoccupazione era alto. Tuttavia i santi e i dirigenti fedeli si sono uniti per versare una generosa offerta di digiuno, per assicurarsi che nessuno sia privo del necessario per vivere.

Dobbiamo cercare di diventare il più possibile autosufficienti, invece di aspettarci che qualcun altro provveda a noi. Alcuni sembrano credere di avere il diritto a tutto quanto c’è nella vita senza fare nessuno sforzo per guadagnarlo da soli. Molti pensano che lo stato e altri enti debbano provvedere alle loro necessità; pensano di dover ricevere cibo, assistenza medica e la casa. Naturalmente la società deve provvedere ad alcuni dei suoi componenti, ma la popolazione, in generale, deve togliersi dalla mente l’idea di poter contare sul fatto che lo stato possa dare loro quelle cose che essi sono in grado di procurare a se stessi e alla loro famiglia.

Dobbiamo cercare di essere felici e di buon umore e non permettere a Satana di sopraffarci con lo scoraggiamento, la disperazione o la depressione. Come ha detto il presidente Benson, «tra tutti i popoli, noi Santi degli Ultimi Giorni dobbiamo essere i più ottimisti e i meno pessimisti» (Ensign, ottobre 1986, pag. 2). Quando il peccato è la causa dell’infelicità, dobbiamo pentirci e tornare al retto vivere, poiché «la malvagità non fu mai felicità» (Alma 41:10) e «non possiamo fare il male e sentirci felici. È impossibile» (Ezra Taft Benson, New Era, giugno 1986, pag. 5).

Penso che la felicità sia frutto di una coscienza tranquilla e di un comportamento privo di inganno o di frode. Significa evitare la gelosia e l’invidia. Significa coltivare la pace nella nostra casa e godere della pace della coscienza che scaturisce dalla rettitudine. È un sentimento che deriva dalla conoscenza e dalla sicurezza, dateci dallo Spirito, che la vita che conduciamo è in accordo con la volontà di Dio e a Lui accettevole (vedi Joseph Smith, Lectures on Faith, Salt Lake City: Deseret Book Co., 1985, 3:5). Dopo tutto, la spesso citata dichiarazione del profeta Joseph rimane sempre valida; egli disse: «La felicità è l’obiettivo e il fine della nostra esistenza; e se seguiremo il sentiero che conduce ad essa la otterremo; questo sentiero è la virtù, la rettitudine, la fedeltà, la santità e l’osservanza di tutti i comandamenti di Dio» (History of the Church, 5:134-135). Non dobbiamo sentirci depressi o scoraggiati a causa delle condizioni del mondo, poiché il Signore ci aiuterà a trovare il bene che ci porterà alla felicità.

In un’epoca in cui la televisione e la stampa hanno libero accesso nelle nostre case, dobbiamo cercare divertimenti puliti e edificanti, si tratti della televisione, di videocassette, di film, di riviste, di libri o di altro materiale stampato. Dobbiamo essere molto esigenti e scegliere soltanto quelle cose che superano la prova di essere virtuose, amabili, di buona reputazione e degne di lode. Se vi è qualche dubbio, dobbiamo evitarle.

Soprattutto in un anno di elezioni, come è questo negli Stati Uniti, dobbiamo cercare di sostenere coloro che riteniamo che agiranno con integrità e attueranno le nostre idee per quanto riguarda il buon governo. Il Signore ha detto: «Quando i malvagi dominano, il popolo piange.

Perciò si dovrebbero cercare diligentemente uomini onesti e saggi, e voi dovreste sostenere uomini buoni e saggi» (DeA 98:9-10).

La Chiesa osserva una assoluta neutralità in politica, senza favorire alcun partito o candidato; ma ogni membro della Chiesa deve prendere parte attiva alla vita politica del paese. Dobbiamo esaminare i programmi e i candidati per essere sicuri che il voto che esprimiamo sia basato sulla conoscenza, invece che sul sentito dire. Dobbiamo pregare per i nostri governanti e chiedere al Signore di aiutarli nel prendere le importanti decisioni che ci riguardano. Il nostro credo riguardo ai governi e alle leggi terreni è riassunto nella sezione 134 di Dottrina e Alleanze e nel dodicesimo Articolo di fede. Dobbiamo sostenere il programma politico che coincide con questi principi morali.

I membri della Chiesa devono cercare di far conoscere il messaggio del Vangelo a tutti coloro che sono disposti ad ascoltarlo. Dobbiamo cercare senza esitare di predicarlo mediante il precetto e l’esempio, onde essere certi che tutti siano disposti ad accettare le verità del Vangelo, e che abbiano la possibilità di farlo. Il modo migliore di insegnare il Vangelo consiste nel metterlo in pratica. I genitori devono preparare i figli insegnando loro i principi del Vangelo, insegnando loro a condurre una vita pulita e pura, in modo che possano diventare degni missionari e ambasciatori del Signore, incoraggiandoli ad acquisire una forte testimonianza del Vangelo e aiutandoli a prepararsi economicamente per questo sacro servizio. Inoltre le coppie più anziane devono sistemare i loro affari in modo da poter andare in missione.

Possiamo cercare di andare spesso al sacro tempio per compiervi le ordinanze indispensabili per coloro che ci hanno preceduto. Il lavoro di tempio ci consente di fare per gli altri ciò che essi non possono fare da sé. È un’opera di amore che consente ai nostri antenati di continuare il loro progresso verso la vita eterna. Per quanto sia prezioso e proficuo il lavoro di tempio per loro, esso è altrettanto prezioso per noi. La Casa del Signore è un luogo in cui possiamo sfuggire alle cose del mondo e vedere la nostra vita da una prospettiva eterna. Possiamo meditare sulle istruzioni e sulle alleanze che ci aiutano a comprendere più chiaramente il piano di salvezza e l’infinito amore del nostro Padre celeste per i Suoi figli. Possiamo meditare sul nostro rapporto con Dio, Padre Eterno, e Suo Figlio Gesù Cristo. Impariamo da Dottrina e Alleanze che il tempio è un luogo in cui rendere grazie, «un luogo … per l’istruzione di tutti coloro che sono chiamati all’opera del ministero in tutte le loro diverse cariche ed uffici; affinché essi possano perfezionarsi nella comprensione del loro ministero, in teoria, in principio, in dottrina, in tutte le cose che appartengono al regno di Dio sulla terra» (DeA 97:13-14).

Il lavoro di tempio svolto regolarmente può fornirci la forza spirituale. Può essere un’ancora nella nostra vita quotidiana, una fonte di guida, protezione, sicurezza, pace e rivelazione. Nessun lavoro è più spirituale del lavoro di tempio.

Hugh Nibley disse quanto segue: «Il tempio è un modello in scala dell’universo. La mistica del tempio sta nella sua estensione agli altri mondi; è il riflesso sulla terra dell’ordine celeste, e il potere che lo riempie proviene dall’Alto» («Nibley Considers the Temple in the Cosmos», Insights, an Ancient Window, marzo 1992, pag. 1).

Come figli di spirito del nostro Padre celeste dobbiamo sempre cercare di riconoscere il potenziale divino che è in noi, e non ridurre mai la nostra prospettiva al limitato scopo della vita terrena.

Dobbiamo cercare lo Spirito Santo, che può essere il costante compagno di tutti i membri della Chiesa che sono obbedienti e retti. Esso può rivelare tutta la verità alla nostra mente e al nostro cuore, consolarci nei periodi di avversità, aiutarci a compiere le giuste scelte e a prendere le decisioni giuste e aiutarci a purificarci dal peccato. Non conosco beneficio più grande di cui possiamo godere qui sulla terra della compagnia dello Spirito Santo.

È certo che viviamo in tempi difficili, ma possiamo cercare e trovare il bene nonostante le tentazioni e gli inganni di Satana. Egli non può tentarci oltre il nostro potere di resistergli (vedi 1 Corinzi 10:13). Quando noi cerchiamo le «cose virtuose, amabili, di buona reputazione o degne di lode», cerchiamo di emulare il Salvatore e di seguire i Suoi insegnamenti. Allora saremo sulla via che può portarci alla vita eterna.

Porto umile testimonianza che il nostro Padre celeste conosce e ama ognuno dei Suoi figli e che il Suo Beneamato Figliuolo, Gesù Cristo, è il nostro Salvatore e Redentore. Joseph Smith è il profeta della restaurazione del vangelo di Gesù Cristo. I suoi successori, da Brigham Young al nostro attuale profeta, presidente Ezra Taft Benson, sono anch’essi profeti moderni di Dio. Essi ci insegnano a cercare ciò che è buono. Di questo io porto testimonianza nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9