1990–1999
«Assorbita dalla volontà del Padre»
Ottobre 1995


«Assorbita dalla volontà del Padre»

La sottomissione della propria volontà è in realtà l’unica cosa personale che abbiamo da deporre sull’altare di Dio.

Quando i membri della Chiesa parlano di consacrazione devono farlo con riverenza, riconoscendo che tutti noi siamo «privi della gloria di Dio», e alcuni del tutto privi di essa (Romani 3:23). Neanche i più coscienziosi tra noi sono arrivati a questa meta, ma si rendono conto della loro mancanza e continuano a sforzarsi sinceramente. Fortunatamente la grazia di Dio si espande non soltanto su coloro che Lo amano e osservano tutti i Suoi comandamenti, ma anche su coloro che cercano di farlo (vedi DeA 46:9).

Un secondo gruppo di fedeli sono «onorevoli», ma non «valorosi». Essi in realtà non si rendono conto di tale divario, né dell’importanza di sormontarlo (vedi DeA 76:75, 79). Queste persone «onorevoli» sicuramente non sono né infelici né malvagie. Non è quello che hanno fatto, ma quello che non hanno fatto che li condanna. Per esempio, se fossero stati coraggiosi, avrebbero potuto influire profondamente sugli altri invece di essere semplicemente ricordati con simpatia.

Nel terzo gruppo si trovano coloro che vediamo intrappolati nella rete della malvagità del mondo e ricordano a tutti, come scrisse Pietro, che se ci lasciamo conquistare dalle cose del mondo, diventiamo schiavi di ciò che ci vince (vedi 2 Pietro 2:19).

Se abbiamo l’animo rivolto alle cose della carne (vedi Romani 8:5), non possiamo avere «la mente di Cristo» (1 Corinzi 2:16), perché i nostri pensieri sono lontani da Gesù, come lo sono i desideri e gli intenti del nostro cuore (vedi Mosia 5:13). Per colmo di ironia, se il Maestro è per noi uno sconosciuto, finiremo soltanto per servire altri padroni. La sovranità di questi altri padroni è reale, anche se qualche volta è inavvertita, poiché essi stabiliscono il ritmo che vogliono seguire. In effetti noi siamo tutti arruolati nell’esercito del Signore (vedi Inni, No. 157), anche se stiamo soltanto tra le file degli indifferenti.

Se non siamo disposti a lasciarci guidare dal Signore saremo inseguiti dai nostri appetiti, oppure saremo troppo presi da cose prive d’importanza. Il rimedio è implicito nel lamento di re Beniamino: «Come fa un uomo a riconoscere il padrone che non ha servito, che gli è estraneo, che è lungi dai pensieri e dagli intenti del suo cuore?» (Mosia 5:13). È triste dover ammettere che, per molti uomini di oggi, la domanda: «Che vi par egli del Cristo?» (Matteo 22:42) avrebbe come risposta: «Non penso di conoscerLo affatto».

Considerate tre esempi di come le persone onorevoli nella Chiesa trattengono per sé una porzione e quindi rinunciano ad una maggiore consacrazione (vedi Atti 5:1–4).

Una sorella presta un lodevole servizio di volontariato. Tuttavia, nonostante la sua buona immagine nella comunità, ella rimane praticamente estranea ai sacri templi di Gesù e alle Sue sacre Scritture, due aspetti vitali per chi vuol essere Suo discepolo. Ma ella potrebbe lo stesso avere l’immagine di Cristo nel suo aspetto (vedi Alma 5:14).

Un padre onorato, che si dedica coscienziosamente a provvedere alla sua famiglia, è tutt’altro che buono e gentile con i suoi singoli componenti. Anche se è praticamente estraneo alla gentilezza e alla bontà di Gesù che ci è stato chiesto di emulare, con uno sforzo in più da parte sua questo padre potrebbe cambiare considerevolmente la situazione.

Pensate al missionario tornato a casa, che ha perfezionato le sue capacità svolgendo una missione onorevole, che si sforza sinceramente di aver successo nella sua carriera. Per le pressioni che incontra finisce per scendere a compromessi con il mondo; così dimentica di edificare prima il Regno e invece edifica se stesso. Una piccola correzione di rotta oggi porterebbe a una ben diversa destinazione in seguito.

Le deficienze che abbiamo appena illustrato sono peccati di omissione. Una volta che ci siamo lasciati alle spalle i peccati telesti, che d’ora innanzi eviteremo, l’obiettivo si rivolge sempre più ai peccati di omissione. Queste omissioni rivelano la mancanza di volontà di qualificarsi pienamente per il regno celeste. Soltanto una maggiore consacrazione può correggere queste omissioni, che hanno conseguenze tanto reali quanto i peccati di commissione. Molti di noi pertanto hanno una fede sufficiente a evitare i principali peccati di commissione, ma non una fede sufficiente a sacrificare le ossessioni che ci distraggono o a concentrarsi sulle loro omissioni.

Molte omissioni avvengono perché non riusciamo a distogliere l’attenzione da noi stessi. Siamo troppo occupati a misurarci la temperatura, sì che non notiamo la bruciante febbre che divora gli altri, anche se potremmo offrire loro qualche rimedio necessario, come ad esempio incoraggiamento, gentilezza e lode. Le mani che pendono sconsolate e che più hanno bisogno di essere innalzate appartengono a coloro che sono troppo scoraggiati anche per chiedere aiuto.

Effettivamente tutto dipende in primo e in ultimo luogo dai nostri desideri. Questi desideri stabiliscono i nostri schemi di pensiero. I nostri desideri pertanto precedono le nostre azioni e stanno al centro della nostra anima, piegandoci o verso Dio o lontano da Lui (vedi DeA 4:3). Dio può «educare i nostri desideri» (Joseph F. Smith, Dottrina evangelica, pag. 265). Altri cercano di manovrare i nostri desideri. Ma siamo noi che li formiamo, che formiamo i pensieri e gli intenti del nostro cuore (vedi Mosia 5:13).

La regola fissa è che ci sarà fatto secondo i nostri desideri (vedi DeA 11:17), «poiché Io, il Signore, giudicherò gli uomini secondo le loro opere, secondo i desideri del loro cuore» (DeA 137:9; vedi anche Alma 41:5; DeA 6:20, 27). Ogni uomo è padrone esclusivo della sua volontà. Dio non se ne impossesserà, né la soffocherà. Pertanto faremmo bene a tener conto delle conseguenze di quello che vogliamo.

Altro fatto fondamentale: soltanto allineando la nostra volontà a quella di Dio si trova la piena felicità. Qualsiasi cosa che sia meno di questo ce ne dà una porzione inferiore (vedi Alma 12:10–11). Il Signore collabora con noi, anche se all’inizio non riusciamo a far altro che desiderare, ma siamo disposti a fare posto a una porzione delle Sue parole (vedi Alma 32:27). Egli ha bisogno soltanto di una piccola testa di ponte! Ma noi dobbiamo desiderare di fornirGliela.

A tanti di noi è impedito di raggiungere infine la consacrazione, perché riteniamo erroneamente che lasciando che la nostra volontà sia assorbita da quella di Dio potremmo perdere la nostra individualità (vedi Mosia 15:7). Quello che ci preoccupa davvero, naturalmente, non è rinunciare a noi stessi, ma rinunciare a cose a cui teniamo, come il nostro ruolo nella società, il nostro tempo, la nostra posizione e le nostre proprietà. Non dobbiamo stupirci che il Signore ci chieda di perdere noi stessi nel Suo servizio (vedi Luca 9:24). Egli ci chiede soltanto di abbandonare la nostra vecchia natura per trovare il nostro nuovo io. Non si tratta di perdere l’identità, ma di trovare la nostra vera identità. Per colmo di ironia troppe persone già si perdono in ogni caso, consumate dai loro hobby e preoccupazioni, ma per cose molto, molto meno importanti.

Sempre osservatore, sia nel primo che nel secondo stato, Gesù consacrato sapeva sempre in quale direzione procedere. Egli imitava costantemente Suo Padre: «Il Figliuolo non può da se stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa similmente» (Giovanni 5:19). Infatti Egli dice: «In questo ho sofferto la volontà del Padre in ogni cosa fin dal principio» (3 Nefi 11:11).

Man mano che la nostra volontà è sempre più sottomessa a quella di Dio, possiamo ricevere l’ispirazione e le rivelazioni tanto necessarie che ci aiutano ad affrontare le prove della vita. Nel drammatico e molto particolare episodio del tentato sacrificio di Isacco, il fedele Abrahamo «non vacillò per incredulità» (Romani 4:20). In merito a questo episodio John Taylor ha fatto osservare che «soltanto lo spirito di rivelazione poteva dare ad Abrahamo questa fiducia e sostenerlo in quella circostanza tanto difficile» (Journal of Discourses, 14:361). Anche noi confideremo nel Signore davanti a una prova tanto ardua per la quale non abbiamo una facile spiegazione? Comprendiamo – comprendiamo veramente – che Gesù sa e capisce quando siamo stressati e perplessi? La totale consacrazione che portò all’Espiazione ci assicura la perfetta comprensione da parte di Gesù. Egli provò i nostri dolori e afflizioni prima di noi e sa come soccorrerci (vedi Alma 7:11–12; 2 Nefi 9:21). Poiché l’Essere più innocente di tutti soffrì più di tutti, il nostro grido di: «Perché?» non può stare all’altezza del Suo. Ma possiamo anche noi pronunciare le stesse parole di sottomissione: «Ma pure …» (Matteo 26:39).

Il progresso verso la sottomissione ci conferisce un’altra benedizione: una maggiore capacità di conoscere la gioia. Brigham Young ci ha lasciato questo consiglio: «Se volete trovare la gioia suprema, diventate Santi degli Ultimi Giorni e poi mettete in pratica la dottrina di Gesù Cristo» (Journal of Discourses, 18:247).

Pertanto, fratelli e sorelle, la consacrazione non è rassegnazione o cedimento immotivato. È invece una deliberata espansione verso l’esterno, che ci rende più onesti quando gli chiediamo nel canto di darci più zelo nel servirLo («Più forza Tu dammi», Inni, No. 77). La consacrazione non è neanche un’accettazione perplessa, ma è invece un raddrizzare le spalle per sopportare meglio il giogo.

La consacrazione ci impegna a progredire «con risolutezza in Cristo, avendo una speranza perfetta e l’amore verso Iddio e per tutti gli uomini … [nutrendoci] della parola di Cristo» (2 Nefi 31:20). Gesù progredì in modo sublime. Egli non si ritirò, percorrendo per così dire soltanto il sessanta per cento della distanza per arrivare alla piena espiazione; invece Egli portò a termine i Suoi preparativi per tutta l’umanità realizzando una risurrezione universale, non una risurrezione di cui non avrebbe goduto il quaranta per cento di noi (vedi DeA 19:18–19).

Ognuno di noi farà bene a chiedersi: «In quali modi mi ritiro o mi trattengo?» Un’umile introspezione può evidenziare fatti straordinari! Per esempio, possiamo stabilire la nostra diligenza di discepoli da quello che abbiamo già volontariamente abbandonato lungo il cammino. La strada del discepolo è l’unica via dove ci è concesso gettare dei detriti, anzi siamo incoraggiati a farlo. Nei primi stadi i detriti che lasciamo indietro comprendono i più evidenti peccati di commissione. In seguito i rifiuti cambiano; si cominciano a gettar via le cose che ci hanno indotto a fare cattivo uso del nostro tempo e dei nostri talenti o a non usarli affatto.

Lungo questa strada che porta alla consacrazione gravi e inattese difficoltà qualche volta affrettano questo liberarci di quanto non è necessario per raggiungere una maggiore consacrazione (vedi Helaman 12:3). Se ci siamo rammolliti, possono essere necessari tempi difficili. Se siamo troppo soddisfatti, potremo trovarci davanti a una buona dose di scontento divino. Una prospettiva interessante può essere contenuta in un rimprovero. Una nuova chiamata ci allontana dalla nostra comoda routine, nell’ambito della quale abbiamo già sviluppato le competenze necessarie. Oppure possiamo essere privati del lusso al quale siamo abituati, in modo che si possa rimuovere l’avverso fardello del materialismo. L’uomo può essere bruciato dall’umiliazione, in modo da sciogliere l’orgoglio che è in lui. Quale che sia la mancanza di cui soffriamo, essa richiamerà in un modo o nell’altro la nostra attenzione.

John Taylor dichiarò che il Signore può anche scegliere di stringerci il cuore (vedi Journal of Discourses, 14:360). Se il nostro cuore è troppo preso dalle cose del mondo, può dover essere stretto o spezzato oppure essere sottoposto a un potente mutamento (vedi Alma 5:12).

La consacrazione è pertanto sia un principio che un processo e non è legata a un singolo momento. Invece è offerta liberamente, una goccia alla volta, sino a quando la coppa della consacrazione si riempie e infine trabocca.

Tuttavia, molto tempo prima di arrivare a questo punto, come dichiarò Gesù, dobbiamo convincerci sinceramente che faremo ciò che Egli ci chiede (vedi Luca 14:28, TJS). Il presidente Young ci ha consigliato di «sottometterci alla mano del Signore … e riconoscere la Sua mano in ogni cosa. Allora le nostre azioni saranno assolutamente giuste. Sino a quando non arriviamo a questo punto, non possiamo essere assolutamente giusti. Questo è il punto al quale dobbiamo arrivare» (Journal of Discourses, 5:352).

Pertanto riconoscere la mano di Dio significa, per usare le parole del profeta Joseph, confidare che Dio ha preso «ampi provvedimenti» per compiere tutti i Suoi propositi (Insegnamenti del profeta Joseph Smith, pag. 170). Qualche volta Egli dirige chiaramente il corso delle cose; altre volte sembra che Si limiti semplicemente a lasciarle accadere. Pertanto non sempre comprendiamo il ruolo della mano di Dio; ma conosciamo abbastanza il Suo cuore e la Sua mente per sottometterci a Lui. Perciò, quando ci sentiamo perplessi e stanchi, una spiegazione che ci può aiutare in quel frangente non viene sempre immediatamente, ma un aiuto ci verrà senz’altro. Così il processo che ci porta alla conoscenza apre la via alla nostra personale sottomissione, man mano che proviamo quei momenti in cui impariamo a fermarci e a riconoscere che Egli è Dio (vedi Salmi 46:10).

Quindi, più la nostra volontà è assorbita dalla Sua, più le nostre afflizioni, invece di esserci tolte, vengono sciolte nella gioia di Cristo (vedi Alma 31:38).

Settant’anni fa Lord Moulton coniò un’espressione molto pertinente detta «obbedienza senza costrizione», per descrivere «l’obbedienza di un uomo che non può essere obbligato a obbedire» («Law And Manners», Atlantic Monthly, luglio 1924, pag. 1). Le benedizioni di Dio, comprese quelle che accompagnano la consacrazione, si ricevono obbedendo di spontanea volontà alle leggi dalle quali esse sono condizionate (vedi DeA 130:20–21). Pertanto i nostri più profondi desideri determinano il nostro grado «di obbedienza senza costrizione». Dio cerca di farci diventare più consacrati dandoci ogni cosa. Pertanto, quando torneremo a casa da Lui, Egli ci darà generosamente tutto ciò che Egli possiede (vedi DeA 84:38).

Per concludere, la sottomissione della propria volontà è in realtà l’unica cosa personale che abbiamo da deporre sull’altare di Dio. Le molte altre cose che noi «diamo», fratelli e sorelle, sono in realtà cose che Egli ci ha già dato o donato o prestato. Tuttavia, quando io e voi infine ci sottomettiamo lasciando che la nostra volontà sia assorbita da quella di Dio, allora Gli diamo veramente qualcosa! È l’unica cosa nostra che possiamo veramente darGli.

La consacrazione pertanto rappresenta l’unica resa incondizionata che è al tempo stesso una vittoria totale.

Possiamo noi quindi sentire il desiderio di ottenere questa vittoria. Così prego nel nome di Gesù Cristo. Amen. 9