1990–1999
«Correranno e non saranno stanchi»
Ottobre 1996


«Correranno e non saranno stanchi»

Vi esorto a ergervi al cospetto dei vostri compagni come esempi di retto vivere.

Nei documenti che riguardano i primi anni della storia della Chiesa troviamo scritto che durante l’inverno del 1832–1833 il Signore comandò che si istituisse una scuola dei profeti «edificata per la loro istruzione in tutte le cose che sono loro utili» (DeA 88:127). Le lezioni si dovevano tenere al secondo piano dello spaccio di Newell K. Whitney. I fratelli avrebbero frequentato quella scuola per essere istruiti dal profeta Joseph Smith. Alcuni avevano preso l’abitudine di fumare e masticare tabacco. Per il Profeta diventò difficile insegnare le cose spirituali in un ambiente pieno di fumo. Joseph Smith era turbato da questa atmosfera, e si rivolse al Signore per chiederGli se tali condizioni erano idonee per i fratelli. In risposta alla sua richiesta ricevette una rivelazione a noi nota come Parola di Saggezza.

La Parola di Saggezza presenta alcuni aspetti davvero positivi. Ci esorta a far uso di cereali, grano in particolare, frutta e verdura e, in misura ridotta, carne. È anche nota per le sue proibizioni – proibizioni assolute – contro l’uso di alcol, tabacco, tè e caffè. A questa rivelazione si sono aggiunti i consigli dei dirigenti della Chiesa di astenerci dall’uso di droghe come marijuana, cocaina, ecc., e dall’eccessivo uso di medicinali.

In una speciale promessa contenuta in questa rivelazione, nella sezione 89 di Dottrina e Alleanze, troviamo queste parole:

«E tutti i santi che si rammenteranno d’osservare e di mettere in pratica queste parole, camminando in obbedienza ai comandamenti, riceveranno la salute nel loro ombelico e il midollo nelle loro ossa;

Ed essi troveranno saggezza e grandi tesori di conoscenza, pure dei tesori nascosti;

E correranno e non saranno stanchi, e cammineranno senza venir meno.

Ed Io, il Signore, do loro una promessa, che l’angelo distruttore passerà accanto a loro, come ai figli d’Israele, e non li farà morire» (DeA 89:18–21).

Sarò sempre grato per gli insegnamenti di genitori retti che inculcarono in noi le lezioni contenute nella Parola di Saggezza. Oltre ai loro insegnamenti, avevamo quelli accuratamente impartiti dagli insegnanti della Primaria, della Scuola Domenicale e del sacerdozio.

Ricordo in particolare un’insegnante della Primaria che ci lesse un articolo pubblicato nella rivista Improvement Era. Ho chiesto al Dipartimento Storico di cercarlo e ho scoperto che vale la pena di riferirlo a voi. È contenuto nel numero dell’Improvement Era di ottobre 1928 e parla di Creed Haymond, un giovane mormone che fece richiesta di ammissione e fu accettato dall’Università della Pennsylvania. Era un atleta noto per la sua velocità, e per il modo in cui si comportava e giocava fu scelto come capitano della squadra di atletica di detto istituto.

Il meeting annuale dell’Associazione universitaria degli atleti dilettanti d’America fu tenuto nello stadio dell’Università di Harvard alla fine del maggio 1919. Convennero a Cambridge gli atleti, in tutto oltre millesettecento, di tutti i maggiori istituti universitari d’America. Durante le eliminatorie l’Università della Pennsylvania riuscì a qualificare diciassette concorrenti. L’Università di Cornell, l’avversario più temuto quell’anno, riuscì a qualificarne soltanto dieci. L’Università della Pennsylvania si trovava quindi in posizione favorevole per ottenere il primo posto. Fu stabilito il punteggio da assegnare ai primi cinque atleti: cinque per il primo, quattro per il secondo, tre per il terzo, due per il quarto e uno per il quinto. Naturalmente la squadra che qualificava il maggior numero di atleti aveva maggiori possibilità di uscire vincitrice dal meeting.

La sera prima delle finali l’allenatore dell’Università della Pennsylvania si sentiva molto soddisfatto. Prima di andare a letto fece visita ai componenti della sua squadra. Entrò nella stanza di Creed e disse: «Creed, se domani facciamo del nostro meglio ci porteremo a casa il titolo».

Poi esitò. «Creed, questa sera penso che i ragazzi possano bere un po’ di sherry. Voglio che ne prenda un po’ anche tu, appena un sorso, naturalmente».

«Non ne voglio, mister».

«Ma Creed, non voglio farti ubriacare. So quello in cui voi ‹Mormoni› credete. Te lo darò come una specie di medicina, al solo scopo di metterti in forma».

«Non mi farebbe bene per nulla, allenatore; non posso prenderlo».

L’allenatore replicò: «Creed, ricorda che sei il capitano della squadra e l’atleta che probabilmente guadagnerà più punti di ogni altro concorrente. Quattordicimila studenti si aspettano che tu faccia uscire la tua squadra vittoriosa da questo meeting. Se fallisci, perderemo. Dovrei sapere ciò che va bene per te».

Creed sapeva che gli altri allenatori pensavano che un po’ di vino fosse un buon tonico quando gli atleti si sono allenati e, nell’imminenza della gara più importante, hanno i nervi a fior di pelle. Sapeva anche che ciò che l’allenatore gli chiedeva andava contro tutto quello che gli era stato insegnato sin dall’infanzia. Guardò quindi l’allenatore diritto negli occhi e disse: «Non lo voglio».

L’allenatore replicò: «Sei una persona strana, Creed. Non vuoi bere il tè durante gli allenamenti. Hai le tue idee; io ti lascerò fare quello che vuoi».

L’allenatore quindi lasciò il capitano della sua squadra in uno stato di grande ansietà. Se l’indomani non si fosse mostrato all’altezza della situazione e avesse fallito, cosa avrebbe potuto dire al suo allenatore? Avrebbe gareggiato contro gli uomini più veloci del mondo. Se non avesse fatto del suo meglio, non sarebbe riuscito a batterli. La sua caparbietà forse avrebbe potuto far perdere il campionato all’Università della Pennsylvania. Ai suoi compagni di squadra veniva detto ciò che dovevano fare, ed essi obbedivano in ogni momento. Credevano nel loro allenatore. Quale diritto aveva lui di disobbedire? C’era soltanto un motivo: gli era stato insegnato per tutta la vita a obbedire alla Parola di Saggezza.

Era un momento critico nella vita di quel giovane. Spinto dalla sua forte spiritualità, s’inginocchiò e chiese fervidamente al Signore di dargli una testimonianza per quanto riguardava la fonte di questa rivelazione in cui egli credeva e alla quale obbediva. Poi s’infilò nel letto e dormì come un ghiro.

Il mattino dopo l’allenatore venne nella sua stanza e chiese: «Come ti senti, Creed?»

«Bene», rispose il capitano con voce allegra.

«Tutti gli altri ragazzi sono ammalati. Non so cosa gli è accaduto», disse preoccupato l’allenatore.

«Forse è il tonico che gli ha dato, allenatore».

«Forse hai ragione», rispose l’allenatore.

Alle due del pomeriggio ventimila spettatori affollavano le gradinate dello stadio in attesa dell’inizio del meeting. Man mano che le gare si svolgevano, risultava chiaro che c’era qualcosa che non andava nella sino ad allora meravigliosa squadra dell’Università della Pennsylvania. In ogni gara quella squadra forniva una prestazione molto al di sotto delle aspettative. Alcuni atleti erano perfino troppo ammalati per partecipare all’incontro.

Le gare delle 100 e 220 yarde erano particolarmente adatte alle caratteristiche di Creed. La squadra dell’Università della Pennsylvania aveva un disperato bisogno che egli le vincesse entrambe. Creed era chiamato a competere contro i cinque uomini più veloci delle università americane. I giovani presero posto sulla pista per la corsa delle 100 yarde; al colpo di pistola tutti scattarono in avanti, con balzi da gigante; ossia, tutti meno uno: Creed Haymond. Durante le prove il corridore che aveva usato la pista due, poi assegnata a Creed in quella gara, aveva fatto una piccola fossa sulla pista qualche centimetro più indietro del punto che Haymond aveva scelto come punto di partenza. A quei tempi non usavano ancora i blocchi di partenza come oggi. Sotto la forte pressione creata dalla spinta di Creed, il piccolo cuneo di terra tra le due fossette si infranse, ed egli cadde in ginocchio dietro la linea.

Si alzò e cercò di rimediare alla cattiva partenza. Alle 60 yarde era l’ultimo concorrente. Poi sembrò volare superando il quinto, poi il quarto, poi il terzo e poi il secondo. Arrivò vicino al nastro del traguardo con il cuore che stava per scoppiare. Poi, con la velocità del lampo, sorpassò il primo concorrente e vinse la gara.

A causa di alcuni errori di programmazione le semifinali della corsa delle 200 yarde furono tenute soltanto verso la fine del meeting. La sfortuna aveva continuato a perseguitare la squadra dell’Università della Pennsylvania per tutto il giorno, e infine Creed Haymond era stato messo nell’ultima batteria per le qualificazioni. Poi, cinque minuti dopo aver vinto la sua batteria, fu chiamato a competere nella finale, l’ultima gara di quel giorno. Uno degli altri atleti, che aveva fatto parte di una batteria precedente, gli disse: «Spiega allo starter che chiedi un periodo di riposo prima di correre di nuovo. Ne hai diritto in base a tutte le regole. Io non ho ancora ripreso fiato, eppure ho corso nella batteria precedente alla tua».

Creed si recò dallo starter ancora ansimante e chiese un po’ di tempo. Il funzionario gli disse che gli avrebbe dato dieci minuti. Ma la folla chiedeva a gran voce che si corresse la finale. Pur dispiaciuto, lo starter chiamò gli uomini in pista. In condizioni normali Creed non avrebbe temuto quella corsa. Era probabilmente l’uomo più veloce del mondo su quella distanza, tuttavia quel pomeriggio aveva partecipato a tre corse, una delle quali era stata la drammatica corsa delle 100 yarde.

Lo starter ordinò ai giovani già senza fiato di prepararsi alla partenza, poi alzò la pistola e dette inizio alla competizione. Questa volta il capitano della squadra dell’Università della Pennsylvania partì col piede giusto e quasi subito balzò al primo posto. Tenne la stessa velocità per tutta la gara e, con uno sprint finale, portò a termine la gara con otto yarde di vantaggio sul secondo concorrente.

L’Università della Pennsylvania usciva sconfitta dal meeting, ma il suo capitano aveva stupito i tifosi con le sue eccezionali prestazioni.

Alla fine di quella strana giornata, mentre Creed Haymond stava per andare a letto, improvvisamente ricordò la domanda da lui fatta in preghiera la sera prima riguardo alla divina origine della Parola di Saggezza. Rivide nella mente tutti i singolari avvenimenti di quel giorno: i suoi compagni di squadra avevano bevuto il vino e avevano fallito; la sua astinenza lo aveva portato a vincere delle gare in un modo che aveva stupito anche lui. La dolce, semplice conferma dello Spirito si incise nella sua mente: la Parola di Saggezza proviene da Dio (Joseph J. Cannon, adattato da «Speed and the Spirit», Improvement Era, ottobre 1928, 1001–1007).

Mi chiedo se in questa nostra epoca basta semplicemente avere il coraggio di dire no, oppure se abbiamo anche il dovere di aiutare gli altri a sconfiggere la grande maledizione che oggi affligge la nostra società. Nella mia vita c’è stato un momento in cui avrei voluto poter esercitare un’influenza maggiore su un amico per impedirgli di fare uso di una sostanza dannosa. Prendevamo parte a una escursione organizzata dagli Scout nel Parco di Yellowstone. Una sera tardi andammo ad assistere all’eruzione del geiser chiamato Old Faithful (Vecchio Fedele, NdT). Mentre tornavamo alla nostra tenda, il mio amico mi fermò in un punto isolato e tirò fuori una lattina di birra. Non so dove se la fosse procurata. Mi disse: «Ho qui in serbo una cosetta per noi»; poi si offrì di dividere la lattina di birra con me. Naturalmente l’addestramento che avevo ricevuto in famiglia e gli insegnamenti a me impartiti da capaci dirigenti delle organizzazioni ausiliarie e del sacerdozio erano tali che la birra per me non rappresentava una tentazione, e quindi non fu difficile rifiutare la sua offerta. Egli la bevve per intero, e io non feci nessun sforzo per dissuaderlo. Quell’episodio ebbe un effetto dannoso sulla nostra amicizia. Non so dirne il vero motivo. Forse era il fatto che mi sentivo colpevole perché non ero stato più deciso nell’impedirgli di bere quella birra. E forse da parte sua c’era il timore che rivelassi ciò che era accaduto, sì che la voce sarebbe giunta alle orecchie dei suoi genitori. Nel corso degli anni mi sono rattristato per la perdita di quell’amicizia.

Oggi la maledizione dell’alcol e della droga sta diventando un incubo nazionale. È la causa della maggior parte dei delitti, incidenti, perdita del lavoro e divisione di famiglie nel nostro paese. A voi, bravi giovani del Sacerdozio di Aaronne, quando sarete diventati adulti sarà chiesto di pagare il costo di questa terribile malattia sociale. Sicuramente si deve fare qualcosa per porre un freno a questa forza distruttiva. Vi esorto a ergervi al cospetto dei vostri compagni come esempi di retto vivere. Io so che il Signore adempirà la promessa che vi ha fatto concedendovi la buona salute, la conoscenza e la saggezza che vi distingueranno dal resto del mondo. Il vostro esempio di rettitudine aiuterà molte, molte altre persone.

Dio vi benedica, in modo che abbiate il coraggio di vivere nel modo che vi è chiesto e di dare un esempio di persone che mettono in pratica i grandi principi del Vangelo che noi consideriamo tanto cari. Questa è la mia umile preghiera, nel nome del nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Amen. 9