2000–2009
Porre le basi per una comunità di santi
Aprile 2001


Porre le basi per una comunità di santi

«In qualsiasi vera comunità di santi lavoriamo tutti per servirci reciprocamente nel modo migliore che conosciamo. Il nostro lavoro ha uno scopo superiore perché è fatto per beneficare gli altri e edificare il regno di Dio».

Nella vita di ciascuno di noi accadono episodi che, quando li rammentiamo anni dopo, acquistano un significato nuovo e più importante. Frequentavo le superiori e mi sentii molto onorato quando mi fu chiesto dal consiglio scolastico di far parte della «pattuglia di controllo». Nei giorni che eravamo di pattuglia dovevamo portarci il pranzo da casa e mangiare tutti insieme. C’era sempre una grande competizione perché il gioco era di vedere quale mamma aveva preparato il pasto più appetitoso. Spesso ci scambiavamo il cibo.

Un giorno era il mio turno ad essere di pattuglia, ma non mi ricordai di dire alla mamma che dovevo portare il pranzo a scuola fino a quando stavo quasi per uscire. Un’espressione di sconforto passò sul viso di mia madre alla mia richiesta perché, mi disse, aveva appena usato per la colazione l’ultimo pane rimasto e non ne avrebbe cotto altro fino al pomeriggio. Tutto quello che aveva in casa che potevo portarmi era una ciambella rimasta dalla cena della sera prima. La mamma faceva delle ottime ciambelle. Le sistemava sempre in una teglia, ne metteva una grande che prendeva tutta la larghezza della teglia in alto, e le altre più piccole in fila fino a riempire una seconda teglia. Era rimasta solo la ciambella grande, che aveva la misura di un bel panino, ma ovviamente non così spesso. Provavo imbarazzo a portare a scuola una ciambella per il pranzo, pensando anche a quello che avrebbero avuto da mangiare gli altri membri della pattuglia, poi decisi che era meglio prenderla piuttosto che andare a scuola senza pranzo.

Al momento di mangiare mi sedetti in un angolo lontano dagli altri per non essere notato, ma quando iniziò il baratto dei cibi i miei amici volevano sapere quello che avevo. Spiegai allora quello che era successo la mattina e con mio grande sgomento tutti volevano assaggiare la ciambella. I miei amici mi sorpresero—invece di prendermi in giro tutti ne volevano un pezzo! Fu il miglior giorno di baratti di tutto l’anno! La ciambella che avevo pensato mi avrebbe messo in imbarazzo si rivelò l’articolo migliore della nostra ora di pranzo.

Ripensando a questo episodio, mi sono reso conto che fa spesso parte della natura umana l’attribuire un valore minore alle cose a noi familiari, semplicemente perché ci sono così comuni. Una di queste cose familiari potrebbe essere la nostra appartenenza alla Chiesa restaurata.

Ciò che i membri della Chiesa possiedono è una «perla di gran prezzo», eppure talvolta questa gemma preziosa ci è così familiare che non ne apprezziamo il vero valore. Pur essendo vero che non dobbiamo gettare le perle ai porci, non significa però che non dobbiamo condividerle con persone che ne possono apprezzare il valore. Uno degli aspetti più belli del lavoro missionario è vedere il grande valore che vi attribuiscono le persone che non hanno mai sentito parlare prima delle cose in cui noi crediamo. C’è un grande vantaggio a vedere i propri tesori attraverso gli occhi di qualcun altro. La mia preoccupazione è che qualcuno di noi dia per scontati i benefici unici e preziosi dell’appartenere alla chiesa del Signore e con un atteggiamento simile è facile che ci compiacciamo del fatto di essere membri della Chiesa ma contribuiamo in modo meno coraggioso a porre le basi per una comunità di santi.

Siamo benedetti da un retaggio nobile e grande che offre un sentiero di verità che si allontana drasticamente dalle cosiddette vie del mondo. Dobbiamo ricordarci del valore del nostro retaggio per non sottovalutarlo. Esorto i tanti santi che si nascondono dietro l’angolo a non vergognarsi di proclamare ad alta voce i preziosi insegnamenti del nostro retaggio comune, non con spirito di vanto o di orgoglio, ma con spirito di fiducia e convinzione.

Qualcosa di cui sono molto orgoglioso è il modo in cui i nostri progenitori, grazie alla loro fede in Dio, alla laboriosità e alla perseveranza trasformarono località che nessuno voleva in città meravigliose.

Quando Joseph Smith venne messo in prigione a Liberty, senza che vi fosse alcuna speranza di essere rilasciato, venne emesso l’ordine di sterminare i santi. Brigham Young fu costretto a organizzare un comitato per far spostare i santi dal Missouri, il che avvenne nel febbraio del 1839. La migrazione portò molti a lamentarsi che il Signore aveva dimenticato il Suo popolo. Alcuni membri della Chiesa misero in dubbio che fosse saggio riunire ancora una volta tutti i santi in un solo luogo.

I santi attraversarono il Mississippi e si fermarono presso alcune comunità più piccole situate sulla riva del fiume il tempo necessario a riposarsi e a ricevere dai dirigenti indicazioni sulla nuova direzione. Mentre era nella prigione di Liberty il profeta Joseph Smith scrisse ai santi esortandoli a non disperdersi ma a riunirsi per stabilire la Chiesa tramite comunità forti nella fede.

Nell’aprile dello stesso anno a Joseph, Hyrum e i loro compagni di prigionia fu reso possibile evadere dal carcere nel Missouri. Arrivarono a Quincy, nell’Illinois, il 22 aprile 1839. Il Profeta si mise immediatamente all’opera per trovare un luogo dove riunire i santi. Trovò un posto sulle rive del Mississippi che sembrava molto promettente. Chiamò quella città Nauvoo, che significa bella, ma all’epoca era tutto tranne che bella. Era una penisola paludosa che non era stata prosciugata. Da quella palude sorse una città che poté veramente essere definita bella.

Le prime case di Nauvoo erano capanne, tende e poche costruzioni abbandonate. I santi cominciarono a costruire capanne di tronchi. Non appena il tempo e i capitali lo permisero, vennero tirate su costruzioni di assi e tronchi e successivamente furono costruiti edifici in mattoni.

Il piano del Profeta era di porre le basi per una comunità di santi. Aveva tre importanti obiettivi: il primo economico; il secondo pedagogico e il terzo spirituale.

Il primo desiderio del profeta Joseph Smith era che i santi diventassero economicamente autosufficienti. Il Padre celeste ha dato a tutti i Suoi figli tutto ciò che possiedono—i talenti, le capacità, i beni materiali e li ha resi amministratori di queste benedizioni.

Una parte preziosa del nostro retaggio di autosufficienza economica è il Programma dei Servizi di Benessere della Chiesa, che ha due principi chiave: il primo è il principio dell’amore e il secondo quello del lavoro. Il principio dell’amore è il potere scatenante che ci spinge a dare il nostro tempo, denaro e talenti a questo stupendo programma. Giovanni il beneamato scrisse:

«… amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Iddio.

Chi non ama non ha conosciuto Iddio; perché Dio è amore.

In questo s’è manifestato per noi l’amor di Dio: che Dio ha mandato il suo unigenito Figliuolo nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo.

Diletti, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1 Giovanni 4:7-9, 11).

E ancora in 1 Giovanni 3:17:

«Ma se uno ha dei beni in questo mondo, e vede suo fratello nel bisogno, e gli chiude le proprie viscere, come dimora l’amor di Dio in lui?»

È la nostra comprensione del principio dell’amore che ci spinge a dare generosamente le offerte di digiuno, un meraviglioso sistema rivelato per cui ogni prima domenica del mese volontariamente ci asteniamo dal mangiare per due pasti e versiamo il costo di questi pasti al nostro vescovo, il quale ha così i fondi necessari per aiutare coloro che hanno bisogno. Il sistema è per lo più indolore, accresce la nostra comprensione per chi ha necessità e ci da i mezzi per soddisfare le loro esigenze quotidiane.

Possa il Signore continuare a benedirvi con il desiderio di amarci gli uni gli altri e di dare con generosità grazie al principio del digiuno.

Il secondo fondamentale principio è quello del lavoro. Il lavoro è importante per il successo del piano economico del Signore quanto il comandamento di amare il nostro prossimo.

In Dottrina e Alleanze, sezione 68, il Signore ha detto:

«Ora io, il Signore, non mi compiaccio degli abitanti di Sion, poiché vi sono fra essi degli indolenti; e anche i loro figli stanno crescendo nella malvagità; essi inoltre non cercano ardentemente le ricchezze dell’eternità, ma i loro occhi sono pieni di cupidigia.

Queste cose non devono esserci e devono essere eliminate di fra loro» (DeA 68:31–32).

Ho una preoccupazione particolare circa il riferimento fatto dal Signore ai nostri figli. Vediamo molti genitori che sono troppo indulgenti con i propri figli e che non li istruiscono debitamente sul valore del lavoro.

In qualsiasi vera comunità di santi lavoriamo tutti per servirci reciprocamente nel modo migliore che conosciamo. Il nostro lavoro ha uno scopo superiore perché è fatto per beneficare gli altri e edificare il regno di Dio.

Il secondo requisito nella comunità di santi del profeta Joseph era l’istruzione. Ai primi del 1840, quando fece la domanda per la registrazione di Nauvoo, il Profeta chiese anche il permesso di istituire un’università.

Leggiamo nella «Encyclopedia of Mormonism»:

«Le idee e le norme pedagogiche della Chiesa sono basate su alcune rivelazioni ricevute da Joseph Smith che danno forza alla natura eterna della conoscenza e al ruolo vitale che l’apprendimento ha nello sviluppo spirituale, morale e intellettuale dell’umanità» (Encyclopedia of Mormonism, «Education: Attitudes Toward Education», 441).

Nelle Scritture moderne vi sono alcuni versetti che parlano in modo particolare dell’importanza dell’apprendimento sia secolare che spirituale. Vediamone alcuni:

«Ma è bene essere dotti se si dà ascolto ai consigli di Dio» (2 Nefi 9:29).

«Qualsiasi principio di intelligenza noi conseguiamo in questa vita sorgerà con noi nella risurrezione.

E se una persona guadagna maggiore conoscenza e intelligenza in questa vita, mediante la sua diligenza e la sua obbedienza, che un’altra, essa ne avrà altrettanto vantaggio nel mondo a venire» (DeA 130:18,19).

Dagli Articoli di fede: «… Se vi sono cose virtuose, amabili, di buona reputazione o degne di lode, queste sono le cose che noi ricerchiamo» (tredicesimo Articolo di fede).

L’ultimo desiderio del profeta Joseph era di porre le basi spirituali per una comunità di santi. Si inizia nella casa. L’istruzione più importante che i nostri figli riceveranno sarà quella che i genitori impartiscono nella loro casa, se i genitori insegnano con diligenza ai figli a seguire la via che il Padre celeste indica. Una di queste istruzioni dateci dai nostri dirigenti è quella di tenere regolarmente la serata familiare, per incontraci tutti insieme ogni settimana, imparare i principi del Vangelo e rafforzare l’unità familiare. Durante la serata familiare possiamo insieme dare dei consigli, leggere le scritture, pregare e giocare. Il nostro più alto obiettivo è di diventare una famiglia eterna. Poniamo le basi per una comunità di santi una famiglia alla volta.

Per dare la possibilità di essere famiglie eterne, a Nauvoo venne costruito un magnifico tempio. Si ergeva come un faro, per ricordare a tutte le persone che le benedizioni più importanti della vita sono quelle spirituali. Nel tempio vengono fatte alleanze sacre e sono amministrate le ordinanze di salvezza del Vangelo. Visite ripetute al tempio ci danno la possibilità di rinnovare queste alleanze e compiere le ordinanze per procura per coloro che sono morti senza ricevere queste benedizioni.

Adesso abbiamo templi sparsi in tutto il mondo che permettono a molti più membri della Chiesa di ricevere le ordinanze necessarie a qualificarsi per la vita eterna. Chi è degno di entrare nel tempio riceverà grandi benedizioni spirituali se continuerà a servire fedelmente e osserverà le alleanze contratte. Il Signore benedice il suo popolo quando osserva i comandamenti e frequenta la Sua casa. Nel piano eterno di Dio i templi sono luoghi di riunione per le comunità di santi che lavorano per edificare Sion.

La nostra non è una comunità di santi che esclude gli altri, bensì che li accoglie, edificata sul fondamento di apostoli e profeti, di cui Gesù Cristo stesso è la pietra angolare. È aperta a tutti coloro che amano, apprezzano e hanno compassione dei figli del nostro Padre nei cieli. Le fondamenta del nostro benessere economico sono i principi della carità e del duro lavoro. Siamo una comunità in continuo progresso che istruisce i nostri giovani sulla cortesia e l’educazione e anche sulle verità più profonde del vangelo restaurato. La nostra comunità ha un’attenzione spirituale che ci permette di vivere con la compagnia dello Spirito Santo, che ci guida e ci dirige nella vita.

Possa Dio concedere a ciascuno di noi il desiderio di vivere più vicino a Lui per poter godere delle benedizioni di pace, armonia, sicurezza e amore per tutta l’umanità—le caratteristiche di una comunità che è uno con Dio. Egli è il nostro Dio. Noi siamo i Suoi figli. Questa è la mia testimonianza nel nome di Gesù Cristo. Amen.

Nota:

Informazioni storiche tratte da Storia della Chiesa nella pienezza dei tempi.