2000–2009
Che essi possano conoscere Te
Ottobre 2006


Che essi possano conoscere Te

Possiamo avvicinarci alla sofferenza, al dolore e alle pene concentrandoci su Cristo.

Il coro ha cantato: «Gesù, se sol io penso a Te».1 Nel Libro di Mormon, Nefi, parlando del Messia, profetizza:

«E il mondo, a causa della sua iniquità, lo giudicherà esser cosa da nulla; perciò lo flagelleranno, ed egli lo sopporterà; lo percuoteranno ed egli lo sopporterà. Sì, gli sputeranno addosso ed egli lo sopporterà a motivo della sua amorevole bontà e della sua longanimità verso i figlioli degli uomini».2

La grande e intensa sofferenza del Salvatore era per noi; perché non dovessimo soffrire come Egli soffrì.3 Nonostante questo, la sofferenza fa parte della vita e pochi potranno sfuggire alla sua morsa. Dal momento che è qualcosa che tutti noi abbiamo dovuto affrontare, stiamo affrontando ora o dovremo affrontare, se possiamo avvicinarci alla sofferenza, al dolore e alle pene concentrandoci su Cristo, ci sono suggerimenti nelle Scritture dai quali possiamo imparare lezioni spirituali. Nei tempi antichi, Paolo scrisse che la nostra sofferenza può darci la possibilità di conoscere meglio il Salvatore. Paolo scrisse ai Romani:

«Lo Spirito stesso attesta insieme col nostro spirito, che siamo figliuoli di Dio:

E se siamo figliuoli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con Lui».4

Non andiamo a cercare le avversità e le sofferenze, perché non è questo quello che viene insegnato. È invece l’atteggiamento che abbiamo quando dobbiamo affrontare le nostre difficoltà e le nostre prove che ci permette di conoscere meglio il Salvatore. L’esperienza ci insegna che la sofferenza è una di quelle cose nella vita che arriva anche senza cercarla. Lasciatemi usare un esempio personale:

Qualche anno fa, quando il nostro primo figlio aveva circa un anno, io fui la fonte di alcune di quelle sofferenze in apparenza non necessarie. Stavamo frequentando l’università e una sera avevo giocato con mio figlio sul pavimento. Lasciai la stanza per andare a studiare e mentre chiudevo la porta alle mie spalle, probabilmente lui cercò di raggiungermi e alzando le mani dietro la testa, le sue dita si infilarono nel cardine della porta. Quando chiusi la porta lui riportò una lesione alle dita alquanto grave.

Lo portammo urgentemente al pronto soccorso, gli fecero un’anestesia locale e poi entrò un dottore che ci assicurò che poteva guarire. Quasi paradossalmente, in quel momento l’unica cosa che mio figlio di un anno voleva era quella di essere tenuto dal suo papà. Fintanto che riusciva a vedermi oppose resistenza mentre cercavano di legarlo per la delicata operazione. Quando lasciai la stanza si calmò e il dottore fu in grado di procedere.

Durante l’operazione ero nervoso e spesso mi avvicinavo alla porta aperta guardando dietro l’angolo per vedere come stavano andando le cose. Per qualche strano motivo ogni volta che sbirciavo silenziosamente all’angolo dietro di lui, la sua testa spuntava fuori e si sforzava di vedere se io ero lì.

In uno di quei momenti, quando lo vidi con il braccio tenuto steso lontano dal fianco, la testa incurvata che cercava suo padre, cominciai a pensare a un altro Figlio, le sue braccia stese, inchiodate sulla croce, che cercava Suo Padre e mi vennero alla mente le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»5 Quello fu un momento davvero traumatico della mia vita, che improvvisamente divenne sacro.

Nelle Scritture ci sono una serie di uomini e donne che sembravano sempre essere concentrati su Cristo, persone che nonostante le difficoltà o le ingiustizie della vita, rimanevano fedeli ed erano disposte a perseverare. Parlo di Abrahamo, che fu privato della terra della sua eredità e al quale fu comandato di sacrificare Isacco; parlo di Giuseppe che fu venduto come schiavo dai suoi fratelli, fu imprigionato per aver onorato la sua virtù e castità, e fu lasciato a lungo in prigione a causa di un servo sconsiderato; parlo di Ruth, vedova giovane e bisognosa, ma nonostante questo fedele e leale a sua suocera; parlo dei tre profeti chiamati Nefi, Alma padre e figlio, e naturalmente del profeta Joseph Smith.

Particolarmente importante per me è la perseveranza di Nefi. Continuamente sottoposto all’ira dei suoi fratelli, fu legato per quattro giorni sulla nave mentre andavano verso la terra promessa. Non poteva muoversi e il quarto giorno, quando stavano per essere inghiottiti dall’oceano, i suoi fratelli, avendo paura di perire, «slegarono le corde che avev[a] ai polsi; ed ecco essi si erano estremamente gonfiati; e le [sue] caviglie erano pure assai gonfie ed erano molto doloranti.

Nondimeno, [egli] guardav[a] al [suo] Dio e lo lodav[a] per tutto il giorno e non mormor[ò]».6

Ricordate anche che fu Nefi che scrisse: «Perciò lo flagelleranno, ed egli lo sopporterà; lo percuoteranno ed egli lo sopporterà. Sì, gli sputeranno addosso, ed egli lo sopporterà».7 Nefi aveva capito.

Benché lo scopo della sofferenza non sia sempre evidente sul momento, il profeta Joseph ebbe un’esperienza spirituale unica mentre si trovava nel carcere di Liberty. Il Signore lo confortò:

«Figlio mio, pace all’anima tua; le tue avversità e le tue afflizioni non saranno che un breve momento.

E allora, se le sopporterai bene, Dio ti esalterà in eccelso; tu trionferai su tutti i tuoi oppositori».8

«Sappi figlio mio che tutte queste cose ti daranno esperienza, e saranno per il tuo bene.

Il Figlio dell’Uomo è sceso al di sotto di tutte queste cose: Sei tu più grande di lui?»9

Quando siamo chiamati a perseverare nella sofferenza, a volte inflittaci intenzionalmente o negligentemente, veniamo messi in una posizione unica: se lo scegliamo, potremo ricevere una nuova consapevolezza della sofferenza del Figlio di Dio. Mentre Alma ci dice che Cristo soffrì tutto quello che ognuno di noi soffrirà affinché Egli possa sapere come soccorrerci,10 anche il contrario può essere vero; cioè che le nostre sofferenze possono permetterci di capire la profondità e grandezza del Suo sacrificio espiatorio.

Riflettendo su ciò che è successo con mio figlio molti anni fa, quell’esperienza mi ha dato nuovi punti di vista e forse anche una più profonda comprensione della grandezza e della magnificenza dell’Espiazione. Ho un maggior apprezzamento di ciò che un Padre era disposto a permettere a Suo Figlio di fare per me e per ognuno di noi. Ebbi una nuova visione personale della profondità e dell’ampiezza dell’Espiazione. Non posso immaginare di lasciare volontariamente mio figlio soffrire anche se in misura così piccola; e nostro Padre «ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo».11

Benché non ne abbiamo mai parlato, anche mio figlio avrebbe qualche opportunità di apprezzare il versetto dove il Signore spiega: «Ecco, io t’ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stan del continuo davanti agli occhi».12

Sebbene niente di ciò che passò mio figlio possa avvicinarsi all’Espiazione, la cicatrice nella sua mano è sempre davanti a lui e ha l’opportunità, se decide di coglierla, di usare la sua cicatrice come ricordo delle cicatrici nei palmi del Salvatore, che soffrì per i nostri peccati. Può capire, a suo modo, l’amore che il Salvatore ha per noi in quanto ha accettato di essere flagellato, schiaffeggiato, picchiato e ucciso per noi.

Nonostante la sofferenza possa offrire nuovi punti di vista, dobbiamo stare attenti a non confrontare, ma piuttosto ad apprezzare. Ci saranno sempre infinite differenze tra noi e il nostro Salvatore. Il suo commento a Pilato, «Tu non avresti potestà alcuna contro di me, se ciò non ti fosse stato dato da alto»13 ci ricorda ancora una volta la natura volontaria del Suo sacrificio. Non potremo mai sopportare la profondità, la natura intensa o la grandezza della Sua sofferenza, poiché «Queste sofferenze fecero sì che io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro, e soffrissi sia nel corpo che nello Spirito».14 Ma come Nefi possiamo avere un apprezzamento maggiore per ciò che Egli fece, possiamo sentire il Suo spirito che ci soccorre e possiamo conoscere il Salvatore nel vero senso della parola, e «questa è la vita eterna, che possiamo conoscere Lui».15

Vi porto testimonianza che Gesù Cristo è il Salvatore del mondo; che grazie alla Sua sofferenza ed espiazione possiamo ricevere la remissione dei nostri peccati e ottenere la vita eterna. Rendo testimonianza della Sua tenera e dolce bontà; Egli è il Figlio Unigenito del Padre e in tutto fece la volontà di Suo Padre. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

  1. Inni, 85.

  2. 1 Nefi 19:9.

  3. Vedere DeA 19:16–19.

  4. Romani 8:16–17.

  5. Matteo 27:46.

  6. 1 Nefi 18:15–16.

  7. 1 Nefi 19:9.

  8. DeA 121:7–8.

  9. DeA 122:7–8.

  10. Vedere Alma 7:11–12.

  11. Giovanni 3:16.

  12. Isaia 49:16.

  13. Giovanni 19:11.

  14. DeA 19:18.

  15. Vedere Giovanni 17:3.