2010–2019
L’obbedienza tramite la nostra fedeltà
Aprile 2014


L’obbedienza tramite la nostra fedeltà

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Anziano L. Tom Perry

L’obbedienza è un simbolo della nostra fede nella saggezza e nel potere dell’autorità suprema: Dio.

Le serate familiari che io e la sorella Perry teniamo ogni lunedì sera sono improvvisamente diventate più affollate. Mio fratello, sua figlia, il fratello di Barbara e una nipote con il marito si sono trasferiti nel nostro vicinato. È la prima volta, da quando ero un ragazzo, in cui ho la benedizione di avere dei familiari che vivono vicino a me. All’epoca, la mia famiglia viveva nello stesso isolato di diversi componenti della famiglia allargata di mia madre. La casa di nonno Sonne era accanto alla nostra sul lato nord, mentre la casa di zia Emma si trovava accanto sul lato sud. Zia Josephine viveva sul lato sud dell’isolato, mentre zio Alma abitava sul lato est.

Durante la mia giovinezza, interagivamo con i membri della nostra famiglia allargata quotidianamente e condividevamo momenti di lavoro, di gioco e di conversazione. Non potevamo metterci granché nei guai senza che le nostre madri venissero a saperlo immediatamente. Oggi il nostro mondo è diverso; i membri della maggior parte delle famiglie vivono lontani. Anche se vivono relativamente vicini l’uno all’altro, spesso non sono vicini di casa. Eppure devo credere che la situazione della mia giovinezza e quella attuale siano un po’ come il cielo, dove i nostri cari vivono l’uno accanto all’altro. Questo funge per me da costante promemoria della natura eterna dell’unità familiare.

Da giovane, avevo un rapporto speciale con mio nonno. Ero il figlio maggiore nella mia famiglia. D’inverno spalavo la neve e d’estate curavo il prato di casa nostra, della casa di mio nonno e di due delle mie zie. Di solito, il nonno sedeva in veranda sotto il portico mentre tagliavo l’erba. Quando avevo finito, mi sedevo sugli scalini e parlavo con lui. Quei momenti sono dei ricordi preziosi per me

Un giorno, chiesi a mio nonno come avrei fatto a sapere se stessi sempre facendo la cosa giusta, dato che la vita offre così tante scelte. Come era solito fare, egli mi rispose raccontandomi un’esperienza tratta dalla vita in fattoria.

Mi parlò di come si addomestica una coppia di cavalli da tiro in modo tale che si muovano in sintonia. Mi spiegò che una coppia di cavalli da tiro deve sempre sapere chi è che comanda. Per controllare e dirigere un cavallo sono fondamentali le briglie e il morso. Se uno dei cavalli da tiro ritiene di non dover obbedire alla volontà del conducente, la coppia non tirerà e non si muoverà mai insieme per sfruttare al massimo le proprie capacità.

Esaminiamo ora la lezione che mio nonno m’impartì utilizzando questo esempio. Chi è il conducente dei cavalli da tiro? Mio nonno credeva che fosse il Signore. È Lui ad avere uno scopo e un piano. Egli è anche Colui che addestra e rafforza i cavalli da tiro e, a turno, ciascun cavallo singolarmente. Il conducente sa cos’è meglio e l’unico modo in cui un cavallo può sapere che sta facendo sempre la cosa giusta è essere obbediente e seguire la guida del conducente.

A cosa paragonava le briglie e il morso mio nonno? Tanto allora quanto adesso, credo che egli mi stesse insegnando a seguire i suggerimenti dello Spirito Santo. Secondo lui, le briglie e il morso avevano un significato spirituale. Un cavallo obbediente, che fa parte di una coppia di cavalli da tiro ben addestrata, ha bisogno soltanto di un leggero strattone da parte del conducente per fare esattamente ciò che questi desidera. Questo piccolo gesto equivale alla voce dolce e sommessa con cui ci parla il Signore. Per rispetto nei confronti della nostra libertà di scegliere, non si tratta mai di uno strattone forte ed energico.

Gli uomini e le donne che ignorano i dolci sussurri dello Spirito spesso imparano, come il figliol prodigo, dalle conseguenze naturali della disobbedienza e della vita dissoluta. Fu soltanto dopo che le conseguenze naturali ebbero umiliato il figliol prodigo che questi “rientrò in sé” e udì i sussurri dello Spirito che gli dicevano di ritornare a casa da suo padre (vedere Luca 15:11–32).

Pertanto, la lezione che mio nonno m’impartì è quella di essere sempre pronto a ricevere il leggero strattone dello Spirito. Egli m’insegnò che, se avessi cominciato ad allontanarmi dalla retta via, avrei sempre ricevuto tale suggerimento e che, se avessi permesso allo Spirito di guidarmi nelle decisioni della mia vita, non mi sarei mai reso colpevole di errori più gravi.

Come leggiamo in Giacomo 3:3: “Se mettiamo il freno in bocca ai cavalli perché ci ubbidiscano, noi guidiamo anche tutto quanto il loro corpo”.

Dobbiamo essere sensibili ai nostri “morsi” spirituali. Dobbiamo essere disposti a cambiare completamente la nostra direzione persino al più lieve strattone del Maestro. Per avere successo nella vita dobbiamo insegnare al nostro spirito e al nostro corpo a lavorare insieme in obbedienza ai comandamenti di Dio. Se prestiamo ascolto ai dolci suggerimenti dello Spirito Santo, questo può unire il nostro spirito e il nostro corpo in uno scopo comune che ci farà ritornare alla nostra dimora eterna per vivere con il nostro Eterno Padre nei cieli.

Il nostro terzo articolo di fede insegna l’importanza dell’obbedienza: “Noi crediamo che tramite l’espiazione di Cristo tutta l’umanità può essere salvata, mediante l’obbedienza alle leggi e alle ordinanze del Vangelo”.

Il genere di obbedienza descritta da mio nonno nel suo esempio di una coppia di cavalli da tiro richiede anche una fiducia speciale, vale a dire una fede assoluta nel conducente. La lezione che m’impartì mio nonno, dunque, alludeva anche al primo principio del Vangelo: fede in Gesù Cristo.

L’apostolo Paolo insegnò: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono” (Ebrei 11:1). Quindi, Paolo usò gli esempi di Abele, Enoc, Noè e Abrahamo per insegnare riguardo alla fede. Approfondì particolarmente la storia di Abrahamo, essendo egli il padre dei fedeli.

“Per fede Abramo, essendo chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo ch’egli avea da ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava.

Per fede soggiornò nella terra promessa, come in terra straniera […]

Per fede Sara anch’ella benché fuori d’età, ricevette forza di concepire, perché reputò fedele Colui che avea fatto la promessa” (Ebrei 11:8–9, 11).

Noi sappiamo che, tramite Isacco, il figlio di Abrahamo e Sara, ad Abrahamo e a Sara fu fatta una promessa: la promessa di una posterità “numerosa come le stelle del cielo, come la rena lungo la riva del mare che non si può contare” (vedere versetto 12; vedere anche Genesi 17:15–16). Poi, la fede di Abrahamo fu messa alla prova in un modo che molti di noi riterrebbero inimmaginabile.

Ho riflettuto molte volte sulla storia di Abrahamo e Isacco e non credo di riuscire ancora a comprendere appieno la fedeltà e l’obbedienza di Abrahamo. Forse, riesco a immaginarlo mentre, obbediente, si prepara a partire una mattina di buonora; ma come fece a camminare così a lungo al fianco di suo figlio Isacco, durante il viaggio di tre giorni fino alle pendici del Monte Moriah? Come riuscirono a portare la legna per il fuoco sopra la montagna? Come riuscì a costruire l’altare? Come legò e pose sull’altare Isacco? Come gli spiegò che sarebbe stato lui il sacrificio? Come ebbe la forza di sollevare il coltello per uccidere suo figlio? La fede di Abrahamo gli conferì la capacità di seguire la guida di Dio scrupolosamente, fino al momento miracoloso in cui un angelo lo chiamò dal cielo e gli annunciò che aveva superato la sua prova straziante. Quindi, l’angelo del Signore ribadì la promessa dell’alleanza di Abrahamo.

Sono consapevole che le difficoltà legate all’avere fede in Gesù Cristo e all’obbedienza saranno più ardue per alcuni rispetto ad altri. Ho abbastanza anni di esperienza da sapere che le personalità dei cavalli possano essere molto diverse e, di conseguenza, essi possono essere più o meno facili da addestrare; so anche che la varietà delle persone è ancora più ampia. Ognuno di noi è un figlio o una figlia di Dio e tutti abbiamo una peculiare storia pre-terrena e terrena. Di conseguenza, vi sono ben poche soluzioni che si adattano a tutti indistintamente. Sono dunque pienamente consapevole del fatto che la natura della vita porti a fare tentativi ed errori e, soprattutto, sono consapevole della costante necessità del secondo principio del Vangelo, ovvero il pentimento.

È vero altresì che l’epoca nella quale visse mio nonno era più semplice, particolarmente per ciò che riguarda le scelte tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Anche se alcune persone molto intelligenti e acute ritengono che la nostra epoca più complessa richieda soluzioni sempre più complesse, io sono ben lungi dall’essere d’accordo. Piuttosto, io ritengo che la complessità odierna richieda una maggiore semplicità, come la risposta che mio nonno diede alla mia sincera domanda su come riconoscere la differenza tra giusto e sbagliato. So che quello che offro oggi è una formula semplice, ma posso testimoniare che funziona benissimo per me. Ve la raccomando e vi sfido anche a fare un esperimento sulle mie parole. Se lo farete, vi prometto che esse vi guideranno a scegliere con chiarezza quando siete bombardati dalle scelte e che vi guideranno a trovare risposte semplici alle domande che confondono coloro che sono dotti e che si credono saggi.

Troppo spesso pensiamo che l’obbedienza significhi seguire in modo passivo e cieco gli ordini o i dettami di un’autorità superiore. In realtà, nella sua forma migliore, l’obbedienza è un simbolo della nostra fede nella saggezza e nel potere dell’autorità suprema: Dio. Quando Abrahamo dimostrò a Dio una fedeltà e un’obbedienza incrollabili — anche quando gli fu comandato di sacrificare suo figlio — Dio lo soccorse. Allo stesso modo, quando noi dimostreremo la nostra fedeltà tramite l’obbedienza, Dio alla fine ci soccorrerà.

Coloro che fanno affidamento esclusivamente su se stessi e seguono soltanto i propri desideri e le proprie inclinazioni sono invero limitati, rispetto a coloro che seguono Dio e attingono alla Sua saggezza, al Suo potere e ai Suoi doni. Un detto recita: “Una persona tutta avvolta in se stessa fa un pacchetto molto piccolo”. L’obbedienza forte e proattiva è tutto fuorché debole o passiva. Essa è il mezzo tramite il quale dichiariamo la nostra fede in Dio e ci qualifichiamo per ricevere i poteri del cielo. L’obbedienza è una scelta tra la nostra conoscenza e il nostro potere — che sono limitati — e la saggezza e l’onnipotenza illimitate di Dio. Secondo la lezione di mio nonno, è una scelta accorgerci del morso spirituale nella nostra bocca e seguire la guida del conducente.

Prego che diventeremo eredi dell’alleanza e della posterità di Abrahamo mediante la nostra fedeltà e ricevendo le ordinanze del vangelo restaurato. Vi prometto che le benedizioni della vita eterna sono a disposizione di tutti coloro che sono fedeli e obbedienti. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.