2008
Un samaritano con un cacciavite
Luglio 2008


Un samaritano con un cacciavite

Dopo aver tenuto una lezione alle Damigelle, ero occupata a raccogliere il materiale impiegato e mio marito, Garry, era in fondo all’aula che teneva il nostro figlioletto di un anno. Nostro figlio di tre anni, Zach, passò davanti a noi nel corridoio affollato e seguì altra gente verso le porte della casa di riunione. Poiché sia io sia mio marito pensavamo che l’altro si stesse occupando di lui, trascorsero un po’ di minuti prima che ci rendessimo conto che non era con noi.

Proprio quando capimmo che Zach se ne era andato, lo vedemmo in fondo al salone. C’era però qualcosa che non andava. Aveva le guance rosse, le lacrime gli bagnavano il volto e si teneva la mano destra. Il vescovo, che lo stava accompagnando verso di noi, sembrava preoccupato. Provai un forte senso di colpa. Mio figlio si era fatto male e io non ero stata accanto a lui ad aiutarlo.

Il vescovo aveva sentito il pianto insistente di Zach ed era corso in suo aiuto. Il problema fu immediatamente chiaro, ma non la soluzione. Le dita erano rimaste incastrate tra la pesante porta esterna e il suo telaio. L’apertura o la chiusura della porta non faceva che aggravare la situazione; il movimento della stessa schiacciava ulteriormente le dita e tirava la mano, causando molto dolore.

Mentre il vescovo e una coppia del rione cercavano freneticamente di trovare una soluzione per sbloccare le dita di Zach, un fratello di un altro rione che teneva le riunioni nel nostro edificio vide quello che stava accadendo. Prese un cacciavite dalla tasca, lo inserì nello spazio tra la porta e il telaio, poi, facendo leva, allargò la fessura di tanto quanto bastò per liberare Zach.

Tra i sospiri di sollievo, il fratello spiegò che quella mattina, mentre si stava preparando per le riunioni domenicali, aveva avvertito quello che gli era parso un suggerimento strano, ossia di portare in chiesa un cacciavite. L’impressione era stata tanto forte e chiara che egli aveva infilato l’attrezzo in una tasca dei pantaloni.

Questo gentile atto di servizio reso grazie all’ispirazione divina mi toccò profondamente e riempì il mio cuore di gratitudine. Il Padre celeste stava vegliando su mio figlio di tre anni e suggerì a un bravo fratello d’intervenire.