2006
Come dare il meglio di noi stessi
Aprile 2006


Messaggio della Prima Presidenza

Come dare il meglio di noi stessi

Tanto tempo fa e in luogo tanto lontano il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo mostrò alla moltitudine e ai Suoi discepoli «la via, la verità e la vita».1 Egli impartiva consigli con le Sue sante parole. Egli ci ha dato un esempio con la Sua vita esemplare.

I Suoi insegnamenti e il Suo esempio spinsero Pietro a porre questa domanda: «Che sorta di uomini dovreste essere?»2 Durante il Suo ministero nel continente americano, il Signore Gesù Cristo aggiunse a questa domanda alcune parole significative: «Che sorta di uomini dovreste essere? In verità, io vi dico: Così come sono io».3

Cercare il meglio in noi stessi

Durante il Suo ministero terreno il Maestro spiegò come dobbiamo vivere, come dobbiamo insegnare, come dobbiamo servire e che cosa dobbiamo fare in modo da poter esprimere il nostro massimo potenziale.

Una lezione a questo proposito ci proviene dal vangelo di Giovanni, nella sacra Bibbia:

«Filippo trovò Natanaele, e gli disse: Abbiam trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge, e i profeti: Gesù figliuolo di Giuseppe, da Nazaret.

E Natanaele gli disse: Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret? Filippo gli rispose: Vieni a vedere.

Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro e disse di lui: Ecco un vero Israelita in cui non c’è frode!»4

Durante il nostro soggiorno sulla terra abbiamo una guida celeste nell’esortazione dell’apostolo Paolo: «Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri». Poi troviamo questo ammonimento: «Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e vedute in me, fatele; e l’Iddio della pace sarà con voi».5

Nella nostra ricerca dell’eccellenza, alcune domande devono fungere da guida ai nostri pensieri: Sono quello che voglio essere? Sono più vicino al Signore oggi di quanto lo ero ieri? Sarò ancora più vicino a Lui domani? Ho il coraggio di cambiare in meglio?

Scegliere la strada della famiglia

È il momento di scegliere una strada spesso ignorata, la strada che potremmo chiamare «la strada della famiglia», affinché i nostri figli e nipoti possano davvero realizzare pienamente il loro potenziale. C’è una forte tendenza a livello internazionale che esprime un tacito messaggio: «Ritornate alle vostre radici, ritornate alla vostra famiglia, alle lezioni che avete imparato, alla vita che avete vissuto, agli esempi che avete veduto, ai valori della famiglia». Spesso si tratta semplicemente di tornare a casa—tornare a casa in soffitte da tanto tempo ignorate, a diari raramente letti, ad album di fotografie quasi dimenticati.

Il poeta scozzese James Barrie scrisse: «Dio ci ha dato i ricordi in modo che potessimo avere le rose di giugno nel dicembre della nostra vita».6 Quali ricordi abbiamo di nostra madre, di nostro padre, dei nostri nonni, dei nostri familiari, dei nostri amici?

Quali lezioni abbiamo imparato dai nostri padri? Anni fa un padre di famiglia chiese all’anziano ElRay L. Christiansen (1897–1975), assistente ai Dodici Apostoli, che nome gli consigliava per la barca che aveva appena acquistato. Fratello Christiansen suggerì: «Perché non la chiami Spaccadomenica?» Sono convinto che quel marinaio in erba fu indotto a meditare se il suo tesoro di barca lo avrebbe indotto a violare o a osservare la domenica. Qualunque sia stata la sua decisione, senza dubbio esercitò una duratura impressione sui suoi figli.

È nella casa che si formano il nostro atteggiamento e le nostre convinzioni più profonde. È nella casa che la speranza viene incoraggiata o distrutta. Le nostre case devono esser qualcosa di più di santuari: devono anche essere luoghi dove lo Spirito di Dio può dimorare, dove le tempeste si fermano sulla porta, dove regna l’amore e dimora la pace.

Una giovane madre mi scrisse: «Qualche volta mi chiedo se quello che faccio ha importanza per i miei figli; specialmente perché, non avendo marito e dovendo fare due lavori per mantenere i figli, qualche volta vengo a casa e trovo tanto disordine. Ma non rinuncio mai alla speranza.

Io e i miei figli abbiamo seguito la trasmissione televisiva della conferenza generale e abbiamo sentito che lei parlava della preghiera. Mio figlio a qual punto ha detto: ‹Mamma, tu ci hai già insegnato queste cose›. Gli ho chiesto: ‹Cosa vuoi dire?› Lui ha risposto: ‹Beh, ci hai insegnato a pregare e ci hai mostrato come si fa; ma l’altra sera sono venuto nella tua camera per chiederti una cosa e ti ho trovato in ginocchio, mentre pregavi il Padre celeste. Se Egli è importante per te, è importante anche per me›». La lettera finisce così: «Credo che non comprendiamo quanta influenza esercitiamo sugli altri, sino a quando un figlio impara dal nostro esempio quello che abbiamo cercato di insegnargli». Quale stupenda lezione quel figlio imparò da sua madre!

Quando ero ragazzo, alla Scuola Domenicale, proprio il giorno della mamma, feci una straordinaria scoperta il cui ricordo è rimasto vivo in me durante tutti questi anni. Melvin, un fratello cieco del rione dotato di una bella voce, si alzò e, con gli occhi rivolti verso la congregazione come se vedesse tutti noi, cantò: «Alla mia cara mamma». Il ricordo della mamma destato dal suo canto commosse il cuore dei presenti. Vidi molti uomini estrarre il fazzoletto e molte donne con gli occhi pieni di lacrime.

Noi diaconi passammo tra la congregazione portando piccoli vasi di gerani per donarli alle madri. Alcune di loro erano giovani, altre erano di mezza età, altre ancora sembrano tenersi aggrappate tenacemente alla vita tanto erano avanti negli anni. Notai che gli occhi di tutte le madri erano occhi buoni. La parola che ogni madre diceva era: «Grazie». Compresi il senso di questa dichiarazione: «Quando qualcuno dona un fiore, il profumo del fiore rimane sulle mani del donatore». Non ho dimenticato la lezione che imparai allora, né mai la dimenticherò.

Dare la nostra vita in servizio

Gli anni sono passati, ma la necessità di una testimonianza del Vangelo continua ad essere indispensabile. Mentre ci muoviamo verso il futuro, non dobbiamo trascurare le lezioni del passato. Il nostro Padre celeste dette Suo Figlio. Il Figlio di Dio dette la Sua vita. Ci è chiesto da Loro di dedicare la vita al Loro divino servizio. Lo farete? Lo farò? Lo faremo? Vi sono delle lezioni da insegnare, vi sono delle buone azioni da compiere, vi sono delle anime da salvare.

Ricordiamo il consiglio di re Beniamino: «Quando siete al servizio dei vostri simili, voi non siete che al servizio del vostro Dio».7 Allungate la mano per soccorre chi ha bisogno del vostro aiuto. Innalzate queste persone a un più alto e migliore livello di vita. Come cantiamo in Primaria: «Guidami, aiutami, cammina insieme a me; dimmi quel che devo far per ritornare a te».8

La vera fede non è patrimonio dei bambini, ma una cosa che tutti dobbiamo avere. Dai Proverbi impariamo questo principio:

«Confidati nell’Eterno con tutto il cuore, e non t’appoggiare sul tuo discernimento.

Riconoscilo in tutte le tue vie, ed egli appianerà i tuoi sentieri».9

Così facendo arriviamo a capire che stiamo svolgendo la santa missione che Egli ci ha affidato, che i Suoi propositi divini si sono adempiuti e che noi abbiamo contribuito a tale adempimento.

Consentitemi di illustrare la validità di questo principio raccontandovi un’esperienza personale. Molti anni fa, quando ero vescovo, sentii l’impulso di fare visita ad Augusta Schneider, una vedova originaria della regione dell’Alsazia-Lorena. Ella parlava poco l’inglese, anche se conosceva bene il francese e il tedesco. Per molti anni, dopo aver sentito quella prima impressione, le feci visita in occasione del Natale. Una volta Augusta disse: «Vescovo, ho una cosa che per me ha grande valore, di cui voglio farle dono». Andò in un posto speciale del suo modesto appartamento e mi mostrò il dono: era un bel pezzo di feltro di circa 15 per 20 centimetri sul quale erano appuntate le medaglie che suo marito si era guadagnato mentre era soldato dell’esercito francese durante la prima guerra mondiale. Ella disse: «Vorrei che lei accettasse questo mio tesoro, questo oggetto a me tanto caro». Protestai gentilmente e le suggerii che forse c’era un suo parente al quale poteva fare tale dono. «No», rispose con fermezza. «Questo dono è per lei, poiché lei ha l’anima di un francese».

Poco dopo avermi fatto quel bel dono Augusta lasciò questa vita terrena e tornò a casa da quel Dio che le aveva dato la vita. Ogni tanto pensavo alla sua affermazione secondo cui io avevo «l’anima di un francese». Non avevo la minima idea di che cosa volesse dire, e ancora non ce l’ho.

Molti anni dopo ebbi il piacere di accompagnare il presidente Ezra Taft Benson (1899–1994) alla dedicazione del Tempio di Francoforte, in Germania, tempio che avrebbe servito i membri della Chiesa tedeschi, francesi, olandesi e belgi. Mentre facevo la valigia, mi sentii spinto a portare con me quelle medaglie, senza avere idea di quello che ne avrei fatto. Le avevo già da diversi anni.

Durante la sessione dedicatoria in lingua francese il tempio era affollato. Il canto e i discorsi furono bellissimi. La gratitudine per le benedizioni di Dio penetrava in ogni cuore. Vidi dalle annotazioni sul programma che a quella sessione partecipavano anche i membri della Chiesa dell’Alsazia-Lorena.

Durante il mio discorso notai che l’organista si chiamava Schneider. Volli perciò raccontare la storia della mia amicizia con Augusta Schneider. Poi mi avvicinai all’organista e gli feci dono delle medaglie, affidandogli anche l’incarico, dato che il suo nome era Schneider, di svolgere le ricerche genealogiche sulla famiglia Schneider. Lo Spirito del Signore confermò nel nostro cuore che quella era un’occasione davvero speciale. Fratello Schneider ebbe qualche difficoltà nel suonare l’inno di chiusura della cerimonia dedicatoria, tanto era commosso dallo Spirito che sentivamo nel tempio.

Ero convinto che quel prezioso dono, che potremmo chiamare l’offerta della vedova—poiché era tutto quello che Augusta Schneider possedeva—ora si trovava nelle mani di una persona che avrebbe fatto in modo che molti che possedevano un’anima francese ricevessero le benedizioni del sacro tempio, sia per i vivi che per coloro che erano passati dall’altra parte del velo.

Porto testimonianza che a Dio ogni cosa è possibile. Egli è il nostro Padre celeste; Suo Figlio è il nostro Redentore. Se ci sforziamo di conoscere i Suoi principi e poi li mettiamo in pratica, noi, con chi ci sta vicino, saremo abbondantemente benedetti.

Proclamo con tutta solennità che Gordon B. Hinckley è un vero profeta per il nostro tempo e che è guidato dal Signore nel grande lavoro che viene svolto sotto la sua guida.

Ricordiamoci sempre che l’obbedienza ai comandamenti di Dio richiama su di noi le benedizioni promesse. Che ognuno di noi sia degno di riceverle.

Idee per gli insegnanti familiari

Dopo aver pregato ed esservi preparati, condividete questo messaggio impiegando un metodo che incoraggi la partecipazione di coloro a cui insegnate. Seguono alcuni esempi.

  1. Portate con voi i seguenti oggetti (o cose simili): uno specchio, l’immagine di una casa, un attrezzo da giardino. Leggete 3 Nefi 27:27 e chiedete che cosa può avere a che fare questo versetto con i tre oggetti. Spiegate che il presidente Monson ci insegna tre modi in cui possiamo essere simili a Gesù Cristo. Mentre studiate ogni sezione, usate l’oggetto corrispondente come aiuto visivo all’insegnamento (per esempio, usate lo specchio quando trattate la sezione «Cercare il meglio in noi stessi»).

  2. Il presidente Monson chiede: «Quali lezioni abbiamo imparato dai nostri padri?» Leggete un esempio tratto dall’articolo, poi domandate ai membri della famiglia quali lezioni hanno appreso dai loro familiari. Se opportuno, invitateli ad aggiungere delle storie nella loro storia di famiglia.

  3. Dopo aver trattato il messaggio, chiedete: «Che cosa vi ha colpito del messaggio di presidente Monson? Secondo voi il presidente Monson che cosa vuole che impariamo da questo messaggio? Che cosa pensate che presidente Monson voglia che facciamo come risultato dei suoi insegnamenti?»

Note

  1. Giovanni 14:6.

  2. 2 Pietro 3:11.

  3. 3 Nefi 27:27.

  4. Giovanni 1:45–47.

  5. Filippesi 4:8–9.

  6. Courage (1925), 1.

  7. Mosia 2:17.

  8. Naomi W. Randall, «Sono un figlio di Dio», Inni, 190.

  9. Proverbi 3:5–6.