2009
La disciplina morale
Novembre 2009


La disciplina morale

La disciplina morale è il costante esercizio della libertà di scegliere il giusto perché è giusto, anche quando è difficile farlo.

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Elder D. Todd Christofferson

Durante la Seconda guerra mondiale, il presidente James E. Faust, che, ancora giovane, si era arruolato nell’esercito degli Stati Uniti, fece domanda per entrare nella scuola per ufficiali. Si presentò davanti a una commissione composta da quelli che definì «soldat[i] di professione che aveva[no] provato di tutto». Dopo un po’ le domande si spostarono sulla religione. Le domande finali furono:

«In guerra non sarebbe opportuno mettere da parte la morale? Lo stress della battaglia non giustifica forse gli uomini a fare cose che in situazioni normali non farebbero?»

Il presidente Faust raccontò:

«Mi resi conto che avevo l’occasione di dare prova di una certa tolleranza. Ero sicuro che gli uomini che mi avevano fatto quella domanda non osservavano le norme che mi erano state insegnate. Mi passò per la mente la possibilità che forse potevo dire che avevo le mie convinzioni, ma che non desideravo imporle agli altri. Ma nella mia mente passarono anche i volti di tante persone alle quali avevo predicato la legge della castità quando ero missionario. Alla fine disse semplicemente: “Non penso ci debbano essere due norme morali”.

Andai via rassegnato all’idea che [a loro] non fossero piaciute le mie risposte… e che mi avrebbero dato un voto molto basso. Qualche giorno dopo, quando furono pubblicati i voti, fui molto sorpreso nel vedere che ero stato accettato. Ero nel primo gruppo accettato alla scuola per ufficiali!…

“Fu una delle più grandi esperienze della mia vita”».1

Il presidente Faust riconosceva che ciascuno di noi ha il dono divino del libero arbitrio; il diritto di fare delle scelte e l’obbligo di renderne conto (vedere DeA 101:78). Egli capiva anche, e lo dimostrava, che per avere successo, il libero arbitrio deve essere accompagnato dalla disciplina morale.

Con «disciplina morale» intendo l’autodisciplina basata su principi morali. La disciplina morale è il costante esercizio della libertà di scegliere il giusto perché è giusto, anche quando è difficile farlo. Si tratta del rigetto di una vita incentrata su se stessi a favore di un comportamento degno di rispetto e vera grandezza tramite il servizio cristiano (vedere Marco 10:42–45). La parola disciplina e la parola discepolo condividono la stessa radice, il che suggerisce alla mente che conformarsi all’esempio e agli insegnamenti di Gesù Cristo è la massima espressione di disciplina, la quale, unita alla Sua grazia, rende una persona virtuosa e moralmente eccellente.

La stessa disciplina morale di Gesù era radicata nel Suo essere discepolo del Padre. Ai Suoi discepoli spiegò: «Il mio cibo è di far la volontà di Colui che mi ha mandato, e di compiere l’opera sua» (Giovanni 4:34). Allo stesso modo, la nostra disciplina morale si radica nella lealtà e nella devozione al Padre e al Figlio. È il vangelo di Gesù Cristo che fornisce la certezza morale su cui poggia la disciplina morale.

Da ormai più di una generazione, le società in cui molti di noi vivono hanno fallito nel promuovere la disciplina morale. Hanno insegnato che la verità è relativa e che ognuno decide da solo cosa è giusto. Concetti come «peccato» e «sbagliato» sono stati condannati in quanto «giudizi di valore». Secondo la descrizione del Signore: «Ognuno cammina per la sua via e secondo l’immagine del suo proprio dio» (DeA 1:16).

Di conseguenza, l’autodisciplina è stata scalfita e le società si ritrovano a dover provare a mantenere l’ordine e la civilizzazione con mezzi coercitivi. La mancanza di controllo interiore da parte degli individui genera controllo da parte dei governi. Un giornalista ha osservato che: «[Una volta, per esempio,] comportarsi da gentiluomini bastava a proteggere le donne da atteggiamenti incivili. Oggi, ci aspettiamo che siano le leggi sulle molestie sessuali a reprimere tali comportamenti…

Ma la polizia e le leggi non possono prendere il posto delle abitudini, delle tradizioni e dei valori morali nel regolare il comportamento umano. Tuttalpiù, la polizia e il sistema giudiziario possono rappresentare l’ultima ed estrema linea di difesa di una società civile. Il nostro accresciuto affidamento sulle leggi, affinché regolino il comportamento, è la misura di quanto siamo diventati incivili».2

La maggior parte del mondo sta attraversando una lunga e devastante recessione economica. Molti fattori ne sono stati la causa, ma il principale è stato la disonestà e il comportamento immorale generalizzati, specialmente nei mercati immobiliare e finanziario degli Stati Uniti. La reazione è stata imporre regole più numerose e più forti. Forse questo dissuaderà alcuni dal comportarsi male, ma altri diventeranno semplicemente più creativi nei loro raggiri.3 Potrebbero non esserci mai abbastanza regole tanto precise da prevedere e includere ogni situazione e, anche se ce ne fossero, sarebbe impossibile sostenere il peso e le spese per garantirne il rispetto. Questo approccio risulta in una limitazione della libertà di ciascuno. Con parole memorabili, il vescovo Fulton J. Sheen disse: «Non abbiamo accettato il giogo di Cristo e pertanto, ora, dobbiamo tremare sotto quello di Cesare».4

Alla fine, solamente la bussola morale all’interno di ogni individuo può gestire efficacemente le cause e i sintomi del decadimento della società. Le società si sforzeranno di stabilire il bene comune inutilmente fino a quando il peccato non verrà denunciato come tale e la disciplina morale non prenderà il suo posto nel pantheon delle virtù civiche.5

La disciplina morale si apprende nella casa. Se è vero che non possiamo controllare ciò che gli altri fanno o non fanno, i Santi degli Ultimi Giorni possono certamente ergersi con coloro che praticano la virtù nella propria vita e inculcano questo principio nelle nuove generazioni. Ricordate la storia contenuta nel Libro di Mormon di quei giovani che furono la chiave per la vittoria dei Nefiti nella lunga guerra tra il 66 e il 60 a.C.: i figli del popolo di Ammon. Il loro carattere e la loro disciplina furono descritti con queste parole:

«Erano uomini che in ogni occasione erano fedeli in qualsiasi cosa fosse loro affidata.

Sì, erano uomini sinceri e seri, poiché era stato loro insegnato a rispettare i comandamenti di Dio e a camminare rettamente dinanzi a lui» (Alma 53:20–21).

«Ora, essi non avevano mai combattuto, tuttavia non temevano la morte; e pensavano più alla libertà dei loro padri che alla loro vita; sì, le loro madri avevano loro insegnato che, se non avessero dubitato, Dio li avrebbe liberati» (Alma 56:47).

«Ora, questa era la fede di coloro di cui ho parlato; essi sono giovani e la loro mente è salda, e ripongono costantemente la loro fiducia in Dio» (Alma 57:27).

Qui troviamo un esempio di ciò che dovrebbe accadere nelle nostre case e nella Chiesa. Il nostro insegnamento dovrebbe scaturire dalla nostra fede e concentrarsi prima e soprattutto sull’instillare nei giovani fede in Dio. Dobbiamo dichiarare l’assoluta necessità di osservare i comandamenti di Dio e di camminare rettamente dinanzi a Lui con serietà, o in altre parole, con riverenza. Tutti devono convincersi che il servizio e il sacrificio per il benessere e la felicità degli altri sono di gran lunga superiori al fare dell’agio personale e dei beni materiali la propria priorità.

Questo richiede di più di un riferimento casuale a questo o quel principio del Vangelo. Ci deve essere un insegnamento costante, soprattutto tramite l’esempio. Il presidente Henry B. Eyring ha dato voce alla visione che perseguiamo:

«Il puro vangelo di Gesù Cristo deve scendere nel cuore dei [nostri figli] tramite il potere dello Spirito Santo. A loro non basterà aver avuto una testimonianza spirituale della verità e desiderare cose buone per il futuro. Non sarà sufficiente per loro sperare in una futura purificazione e forza. Il nostro obiettivo deve essere quello di farli sinceramente convertire al vangelo di Gesù Cristo mentre sono con noi…

Allora trarranno forza da ciò che sono, non solo da ciò che sanno. Diverranno discepoli di Cristo».6

Ho sentito qualche genitore dire di non voler imporre il Vangelo ai figli, ma di volerli lasciare liberi di scegliere cosa credere e cosa seguire. Costoro credono che in questo modo stanno concedendo ai figli di esercitare il loro libero arbitrio. Ciò che dimenticano è che l’uso intelligente del libero arbitrio richiede una conoscenza della verità, delle cose come sono realmente (vedere DeA 93:24). Senza questo, non ci si può aspettare che i giovani comprendano e valutino le alternative che si trovano davanti. I genitori dovrebbero considerare il modo in cui l’Avversario avvicina i loro figli. Egli e i suoi seguaci non promuovono l’obiettività, ma sono decisi fautori multimediali del peccato e dell’egoismo.

Cercare di essere neutrali rispetto al Vangelo, in realtà, significa rigettare l’esistenza di Dio e la Sua autorità. Dobbiamo piuttosto riconoscere Lui e la Sua onniscienza, se vogliamo che i nostri figli vedano chiaramente le scelte della vita e siano in grado di pensare da soli. Non dovrebbero imparare tramite tristi esperienze che «la malvagità non fu mai felicità» (Alma 41:10).

Voglio darvi un esempio di ciò che i genitori possono fare, prendendolo dalla mia vita. Quando avevo cinque o sei anni, sul lato opposto della strada dove vivevo c’era un piccolo negozio. Un giorno due ragazzi mi invitarono ad andare nel negozio con loro. Mentre ammiravamo incantati le caramelle in vendita, uno dei ragazzi ne prese una e se la mise in tasca. Spinse l’altro ragazzo e me a fare lo stesso; e dopo un po’ di esitazione, lo facemmo. Poi uscimmo velocemente dal negozio e corremmo in direzioni diverse. Mi rifugiai in casa e tolsi la caramella dalla carta. Mia madre mi trovò con tracce di cioccolato ancora sulla faccia e mi riportò al negozio. Mentre attraversavamo la strada, ero convinto che avrei passato il resto della vita in prigione. Tra singhiozzi e lacrime, chiesi scusa al proprietario e lo pagai per la caramella con dieci centesimi prestatimi da mia madre e che poi dovetti ridarle. L’amore di mia madre e la sua disciplina misero subito fine in modo brutale alla mia vita criminale.

Tutti veniamo tentati. Fu così anche per il Salvatore; ma Egli «non vi prestò attenzione» (DeA 20:22). Anche noi non dobbiamo necessariamente soccombere semplicemente perché si presenta una tentazione. Forse lo vorremmo, ma non dobbiamo. Un’amica incredula chiese a una giovane donna adulta, determinata a osservare la legge di castità, come fosse possibile che lei «non fosse ancora andata a letto con nessuno». «Non vuoi farlo?», chiese l’amica. La giovane donna pensò: «La domanda mi disorientò, perché era così assolutamente lontana dal nocciolo della questione… Il semplice volere non è un metro di giudizio appropriato nelle questioni morali».7

In alcuni casi, la tentazione può essere aggravata da una dipendenza potenziale o reale. Sono grato che, per un numero crescente di persone, la Chiesa possa fornire aiuto terapeutico di vario tipo per assisterle nell’evitare o nel superare le dipendenze. Sebbene però una terapia possa sostenere la volontà di una persona, tuttavia non la può sostituire. Ci deve essere, sempre e comunque, l’esercizio della disciplina: una disciplina morale fondata sulla fede in Dio Padre e nel Figlio, e su ciò che possono compiere con noi tramite la grazia espiatoria di Gesù Cristo. Come disse Pietro: «Il Signore sa trarre i pii dalla tentazione» (2 Pietro 2:9).

Non possiamo presumere che il futuro assomiglierà al passato, che le cose e i modelli economici, politici e sociali, su cui abbiamo fatto affidamento, resteranno immutati. Forse la nostra disciplina morale, se coltivata, influenzerà positivamente gli altri e li ispirerà a fare lo stesso. Potremmo così avere un’influenza sulle mode e sugli eventi del futuro. Come minimo, la disciplina morale ci sarà di immenso aiuto nell’affrontare qualunque stress e difficoltà possano presentarsi in una società che si sta sgretolando.

Nel corso di questa conferenza abbiamo sentito messaggi profondi e ispirati e, tra breve, il presidente Thomas S. Monson ci lascerà qualche parola di consiglio. Nel meditare sulle cose che abbiamo appreso e ri-appreso, credo che lo Spirito riverserà ulteriore luce su quelle cose che si applicano specificamente a noi come individui. Saremo fortificati nella disciplina morale necessaria per camminare rettamente davanti al Signore ed essere uno con Lui e con il Padre.

Insieme con i miei Fratelli e con voi, miei cari fratelli e sorelle, io sono un testimone che Dio è nostro Padre e che Suo Figlio, Gesù, è il nostro Redentore. La Loro è una legge immutabile; la Loro verità è eterna; il Loro amore è infinito. Nel nome di Gesù Cristo. Amen.

Nota

  1. James E. Faust, Stories From My Life (2001), 2–3.

  2. Walter Williams, «Laws Are a Poor Substitute for Common Decency, Moral Values», Deseret News, 29 aprile, 2009, A15.

  3. Qualche anno fa, parlando a degli uomini di legge, il presidente James E. Faust diede questo ammonimento: «C’è un grande rischio nel giustificare ciò che facciamo nella vita privata e in quella professionale sulla base di ciò che è “legale” piuttosto che sulla base di ciò che è “giusto”. Così facendo, mettiamo a rischio la nostra anima. La filosofia che ciò che è legale è anche giusto ci deruberà di ciò che c’è di più nobile e di migliore nella nostra natura. Ciò che è legale, in molti casi, è ben al di sotto delle norme di una società civile e dietro anni luce rispetto agli insegnamenti del Cristo. Se accettate ciò che è legale come linea di condotta nella vostra vita privata e professionale, vi priverete di ciò che è davvero nobile nella vostra dignità e valore» («Be Healers», Clark Memorandum, primavera 2003, 3).

  4. «Bishop Fulton John Sheen Makes a Wartime Plea», selezionato da William Safire, Lend Me Your Ears, Great Speeches in History, edizione riveduta (1999), 478.

  5. Una volta, alcuni editorialisti del quotidiano The Wall Street Journal hanno scritto:

    «Il peccato non è qualcosa a cui molte persone, inclusa la maggior parte delle chiese, hanno dedicato molto tempo per discuterne o per preoccuparsene negli anni della rivoluzione [sessuale]. Ma almeno questo possiamo dirlo del peccato: almeno ci ha offerto dei confini nel comportamento personale. Quando quei confini sono stati eliminati, la colpa non è stata l’unica a perdersi; abbiamo perso anche la bussola della responsabilità personale…

    Gli Stati Uniti hanno problemi con la droga, con il sesso nelle scuole superiori, con la povertà, con l’AIDS e con la violenza carnale. Nessuna di queste cose sparirà fino a quando più persone che occupano posti di responsabilità non saranno disposti a farsi avanti e a spiegare, in termini morali chiari, che alcune delle cose che le persone fanno oggi sono sbagliate» («The Joy of What?» Wall Street Journal, 12 dicembre, 1991, A14).

  6. Henry B. Eyring, Shaun D. Stahle, «Inspiring Students to Stand Strong amid Torrent of Temptation», Church News, 18 agosto, 2001, 5.

  7. Sarah E. Hinlicky, «Subversive Virginity», First Things, ottobre 1998, 14.